Fabrizio Rinaldi[1]
Abstract
L’articolo nasce dall’esperienza di rivedere più volte i Piani di Studio di un ente accademico.
Esso mette in luce cinque principi architettonici che si sono dimostrati utili nel coniugare insieme esigenze tra loro diverse come l’efficacia formativa, la sostenibilità economica, l’elasticità nella formulazione degli orari delle lezioni, la possibilità di personalizzare gli itinerari.
Introduzione
In questo contributo vogliamo condividere alcune riflessioni nate dall’esperienza di riformulare i Piani di Studi (PdS) di un Istituto Superiore di Scienze Religiose. Abbiamo fatto un percorso che ha comportato quattro diverse riforme in dieci anni, talvolta nate da esigenze istituzionali (la fusione di tre diversi Istituti in uno nuovo), talvolta nate dal desiderio di rendere la proposta formativa più efficace, talvolta infine motivate dal rispondere a problemi organizzativi e di sostenibilità.
Non condividiamo le scelte concrete, che sono inevitabilmente legate alla storia e alla situazione del singolo ente accademico, ma cinque principi architettonici che nel tempo sono maturati alla nostra consapevolezza. Essi costituiscono delle linee guida che possono aiutare notevolmente quando si mette mano alla riforma dei Piani di Studi.
1. La riforma dei Piani di Studi è un processo
Modificare i piani di studi di un Istituto comporta cambiamenti che interessano più livelli organizzativi: gli studenti che si iscriveranno e, in misura minore, quelli che sono già iscritti che spontaneamente iniziano i confronti tra prima e dopo; i docenti e l’organizzazione di segreteria; gli organi direttivi che devono indirizzare e supervisionare il cambiamento.
Ogni riforma organizzativa è tanto più efficace quanto più è condivisa e questo per almeno due motivi. Anzitutto, ogni scelta implica sempre difficoltà aggiuntive per qualcuno: ad es. a un docente può venir ridotto l’insegnamento, ad un altro modificato l’orario delle lezioni o richiesto di cambiare modalità didattica. Quanto più i docenti interessati da queste variazioni hanno condiviso lo spirito e le buone ragioni della riforma, tanto più saranno motivati a sostenere la fatica del cambiamento o ad accettare qualche rinuncia.
Vi è un secondo motivo, meno appariscente ma altrettanto importante, che richiede la condivisione di una riforma: i diversi Piani di Studi di un Istituto esprimono una mentalità cioè un modo di intendere e rappresentarsi i processi formativi, i destinatari e il ruolo degli insegnanti. Una riforma è ben fatta quando diventa occasione perché l’Istituto attivi un confronto interno su questi temi, capace di favorire la maturazione di una visione comune entro la quale ciascuno colloca il proprio impegno. Invece, quando viene attuata una riforma di tipo organizzativo senza che le persone si sentano coinvolte, aumentano le resistenze al cambiamento e soprattutto si rischia di avere una nuova modalità pratica (es. il tipo di didattica) attuata con la mentalità precedente.
Ogni riforma organizzativa necessita anche di una tempistica definita per attuare i passi necessari (discussioni, votazioni, approvazione da parte degli organismi di vigilanza, attuazione, verifica) altrimenti rischia di venir rimandata ad oltranza o di procedere in modo caotico. Idealmente è auspicabile coinvolgere tutto l’Istituto nel cammino di riforma, inclusi gli studenti e i portatori di interesse esterni come le diocesi e alcune associazioni. Con realismo, è bene ricordare che il corpo docente è il gruppo su cui tenere maggiore attenzione in una riforma di questo tipo. Dando per scontato che la Direzione abbia una visione condivisa tra i suoi membri, e che gli apparati tecnici di segreteria ed economato siano costantemente coinvolti per verificare la sostenibilità delle proposte, il gruppo su cui va tenuta l’attenzione è il corpo docente. Le energie spese per comunicare, interpellare e coinvolgere i vari docenti sia nell’elaborazione della proposta sia nel raccogliere feed back non sono sprecate, al contrario sono quelle che spesso fanno la differenza tra una riforma riuscita e una riforma inutile.
2. Coniugare modalità didattica e Piani di Studi
La riforma di un Piano di Studi che nasce da esigenze pratiche corre il rischio di non cogliere l’occasione per riflettere insieme sul tipo di formazione che si vuole offrire. In questi casi, più che di una riforma si tratta di un semplice «adattamento» a nuove esigenze che sono emerse.
Quando invece la riforma dei PdS nasce dal desiderio di attuare una proposta formativa più incisiva ed efficace, si corre il rischio di procedere ad una elaborazione teorica complessa e organica, la quale sembra molto buona ma risulta poi di difficile (o impossibile) attuazione.
Affinché la riforma di un PdS sia efficace sul piano formativo, occorre coniugare insieme le linee ideali e la modalità didattica concreta, fin dalle fasi di elaborazione e confronto.
Alcuni esempi:
- a) se il calendario accademico è strutturato in semestri di 12 settimane di lezione, è bene che ogni insegnamento abbia un numero di ore complessive pari a un multiplo di 12;
- b) se si prevede di fare uno o più insegnamenti intensivi, è bene che il numero di ore ad essi attributo sia calcolato in base ai giorni della settimana impiegati dall’insegnamento e alle eventuali lezioni online prima e dopo la fase intensiva;
- c) se si prevede una didattica laboratoriale, è bene che le lezioni siano organizzate con 3 o 4 ore della stessa materia nel medesimo giorno, in modo da consentire le fasi tipiche del laboratorio senza comprimere eccessivamente i tempi. Invece, riguardo agli insegnamenti per i quali si prevede una didattica principalmente trasmissiva, è bene evitare troppe ore consecutive della stessa materia per non appesantire gli studenti.
Nella valutazione della modalità didattica e dei Piani di studi è utile pensare al tipo di studenti che frequentano l’Istituto e chiedersi cosa succede se uno studente è assente per cause di forza maggiore. Ad es. se il PdS prevede un insegnamento intensivo realizzato in una settimana, può capitare che uno studente sia del tutto assente in quanto malato. Come potrà recuperare? Nel suo PdS quell’insegnamento può essere sostituito con un altro oppure sarà messo nelle condizioni di poter preparare l’esame studiando in autonomia? Un ragionamento simile va fatto anche per gli insegnamenti che sono organizzati a moduli.
3. Insegnamenti fondamentali e complementari
Gli insegnamenti che compongono un Piano di Studi possono essere raggruppati in vari modi. A nostro avviso sono due i criteri più utili: le aree disciplinari e la distinzione tra insegnamenti fondamentali e complementari.
Le aree disciplinari aiutano a cogliere il quadro di insieme sia della proposta formativa dell’Istituto sia del percorso, talvolta personalizzato, del singolo studente. Essa diventa tanto più rilevante quanto più lo studente ha possibilità di scegliere gli insegnamenti da frequentare. Le aree disciplinari evitano ad es. che uno studente arrivi a conseguire il titolo di laurea avendo frequentato molti insegnamenti di Sacra Scrittura, ma risultando carente nella formazione storica e filosofica.
La distinzione tra corsi fondamentali e complementari non è sempre presente nell’offerta formativa degli enti accademici eppure può risultare di grande utilità. Infatti, da un lato vi è l’esigenza di garantire che lo studente acquisisca alcune competenze che sono centrali in quel corso di laurea. Ad es. è irragionevole che venga rilasciato un titolo accademico in Teologia o in Scienze Religiose ad uno studente che non ha mai superato un esame riguardante la cristologia. Dall’altro lato, è utile tener conto della necessità di personalizzare gli itinerari formativi, per motivi che possono essere di varia natura: lo studente che a causa di una malattia o per la necessità di assistere un famigliare non ha frequentato alcuni insegnamenti; lo studente che ha precedenti titoli accademici e ha già acquisito competenze inerenti a questi ambiti di studio; lo studente che deve sospendere gli studi per un periodo e poi riprendere risultando «fuori fase» per i corsi ciclici; lo studente che ha iniziato gli studi presso un altro ente e chiede di poter completare il suo percorso; lo studente che vorrebbe poter scegliere almeno alcuni insegnamenti secondo la sua sensibilità.
In una società complessa come quella Italiana, i percorsi di vita e di studio delle persone sempre più spesso non sono lineari e le esigenze di personalizzare l’itinerario aumentano. In mancanza di un orientamento chiaro, ogni possibilità di variare il percorso di studi rischia di essere demandata alla decisione del Preside\Direttore o ad un suo delegato, con i conseguenti rischi di arbitrarietà e improvvisazione.
È utile invece per ogni area disciplinare individuare alcuni insegnamenti fondamentali: essi non possono essere sostituiti in alcun modo e i relativi esami dovranno necessariamente essere superati da ogni studente che voglia conseguire il titolo di laurea. Se uno studente per cause di forza maggiore non ha potuto frequentare le lezioni di un insegnamento fondamentale, occorre prevedere la possibilità di frequentarlo l’anno successivo o creare le condizioni perché possa studiare in autonomia e sostenere l’esame da non frequentante, anche se questa possibilità deve rimanere un’eccezione per tutti gli enti che prevedono l’obbligo di frequenza. A questo proposito è utile ricordare che le competenze trasversali, definite a livello europeo come standard per tutti gli enti accademici, prevedono che gli studenti acquisiscano capacità di studio autonomo già nel primo ciclo di livello universitario. Nel ciclo specialistico gli studenti sono aiutati ad acquisire «quelle capacità di apprendimento che consentano loro di continuare a studiare per lo più in modo auto-diretto o autonomo».[2]
L’indicazione relativa alla capacità di studio autonomo aiuta a collocarsi in una modalità formativa che si distingue nettamente da quella liceale. Il livello accademico, infatti, presuppone e favorisce una sempre maggiore autonomia dello studente quanto alla capacità di reperire e selezionare le informazioni, di formarsi un giudizio autonomo, di rielaborare e comunicare i contenuti, di argomentare e sostenere un confronto critico. È necessario dunque uscire dalla preoccupazione di affrontare in aula tutti i contenuti relativi ad una materia o di includere nel Piano di Studi tutti gli insegnamenti relativi ad una determinata area disciplinare. L’attivazione di insegnamenti complementari risponde a questa esigenza: tra essi lo studente può scegliere quali frequentare, all’interno dei criteri generali indicati dalla Facoltà. Il «peso» in crediti di ogni insegnamento e il raggruppamento per aree disciplinari, sono strumenti utili per organizzare la proposta formativa in modo ordinato e chiaro.
Guardando all’offerta formativa di un Istituto nel suo complesso, è utile che gli insegnamenti fondamentali abbiano tra loro una certa omogeneità quanto a numero di crediti, giorni e orari di lezione. In questo modo, nella composizione del quadro orario che viene fatta ogni anno, è più facile venire incontro alle esigenze di singoli docenti «scambiando» tra loro l’orario delle lezioni di due corsi fondamentali. Inoltre, è bene che gli studenti sappiano fin dal momento dell’iscrizione in quali giorni e fasce orarie si collocano gli insegnamenti fondamentali dato che la frequenza ad essi è obbligatoria. Ad es. se l’Istituto ha scelto di collocare al martedì e giovedì mattina gli insegnamenti fondamentali, chi non può frequentare in quelle mattine deve rinunciare ad iscriversi.
Gli insegnamenti complementari, invece, possono esprimere maggiore varietà sia nel numero di crediti (non necessariamente uguale per tutti gli insegnamenti) sia nei giorni e negli orari di lezione, sia nella modalità didattica. Ad es. l’Istituto può proporre un insegnamento complementare che viene sviluppato in modalità laboratoriale al sabato pomeriggio oppure un approfondimento biblico le cui lezioni sono integrate all’interno di un viaggio in Israele. Alcuni studenti potrebbero essere impossibilitati ad aderire a simili proposte e in questo caso semplicemente scelgono di seguire altri insegnamenti.
4. Aumentare le possibilità di scelta e far emergere il reale interesse
L’attivazione di insegnamenti complementari ed extracurriculari[3] aumenta l’offerta formativa dell’Istituto e di conseguenza le possibilità di scelta per lo studente. D’altra parte, per contenere i costi e per garantire la formazione di un gruppo classe, è utile stabilire il numero minimo di studenti necessari per attivare un insegnamento complementare e comunicare in modo chiaro le scadenze entro le quali gli studenti devono attuare le loro scelte.
Aumentare le possibilità di scelta degli studenti favorisce il loro coinvolgimento attivo nel delineare il proprio percorso accademico. Al tempo stesso, significa mettere «in concorrenza» alcune proposte formative dell’Istituto, facendo emergere con più chiarezza l’interesse reale delle tematiche che si vogliono affrontare e l’apprezzamento dei metodi didattici utilizzati. Si ottiene in questo modo un feed back che può essere molto utile all’Istituto per riflettere sul proprio orientamento: questo non implica dover inseguire le mode e i gusti degli studenti, ma tener conto della sensibilità diffusa e, ad esempio, motivare alcune scelte che l’Istituto ritiene fondamentali.
Questo tipo di organizzazione comporta anche una diversa interpretazione del ruolo docente, a seconda che il professore\la professoressa sia titolare di un insegnamento fondamentale o complementare. Nel primo caso infatti, il docente è consapevole che l’insegnamento sarà attivato sicuramente e saranno iscritti tutti gli studenti che frequentano quell’anno accademico. La sua attenzione è invece richiesta nella elaborazione organica dei contenuti e nella verifica degli apprendimenti, dato che il «suo» esame è un passaggio ineludibile per proseguire nel percorso accademico. Di preferenza, gli insegnamenti fondamentali sono assegnati ai docenti stabili, anche per garantire una maggiore continuità didattica negli anni.
Il titolare di un insegnamento complementare, invece, ha maggiore libertà di scelta sia per i contenuti che vuole proporre sia per le modalità didattiche che vuole adottare. Al tempo stesso, egli\ella si trova davanti alla possibilità che il suo insegnamento non sia attivato per carenza di iscritti. Si sentirà quindi maggiormente stimolato ad essere creativo nella proposta e a coinvolgersi nella promozione dell’Istituto stesso.
Garantire possibilità di scelta agli studenti fa anche emergere che alcune iniziative dell’Istituto riscuotono ben poco interesse. A questo riguardo è diffusa la prassi di attribuire qualche credito formativo per la partecipazione ad eventi quali convegni, giornate di studio, inaugurazioni dell’anno accademico… In questo modo si ottiene una partecipazione «drogata» agli eventi, motivata cioè dal principio di utilità di conseguire un credito con poco sforzo anziché dal reale interesse per l’evento. Questa prassi è diffusa perché semplifica la vita a tutti: i docenti che organizzano sono sicuri di avere una nutrita partecipazione, gli studenti sono contenti di alleggerire l’impegno richiesto per arrivare a completare il corso di laurea.
È molto più sfidante, ma più efficace a livello formativo, evitare di attribuire crediti formativi per la sola partecipazione, in assenza di una verifica degli apprendimenti e delle competenze maturate. Chiaramente in un sistema accademico che complessivamente è animato anche da una motivazione utilitarista (conseguire un titolo di studio che ha valore legale) è ragionevole attribuire un qualche riconoscimento alla partecipazione, ma può essere un riconoscimento leggero. Ad esempio chi per seri motivi chiede di essere derogato dalla frequenza di alcune lezioni, può convalidare la sua richiesta partecipando ai momenti accademici comuni.
5. Ridurre la frammentazione
È importante aiutare gli studenti a realizzare una sintesi personale su due fronti: anzitutto sul piano concettuale, tra i contenuti appresi in discipline diverse comprese quelle che riguardano la spiritualità e la pastorale; in secondo luogo tra i concetti appresi e la propria esperienza di vita.[4] Diversi accorgimenti didattici possono risultare utili a questo scopo, come il metodo delle reprise, ma la loro esposizione esulta dal presente contributo.[5] Ci preme invece sottolineare che anche il Piano di Studi nel suo complesso può favorire o meno la sintesi.
A questo proposito è utile evitare una eccessiva frammentazione in tanti insegnamenti da 24 ore ciascuno. È opportuno che almeno gli insegnamenti fondamentali abbiano un numero consistente di ore di lezione e di relativi crediti formativi. Questo da un lato consentirà al docente di organizzare la materia con ordine, mostrando possibili approfondimenti, dall’altro sarà di stimolo allo studente nel saper individuare i nuclei fondamentali e intorno a quelli realizzare una prima sintesi.
In alcuni Istituti vengono attivati insegnamenti, con un numero elevato di ore, che vedono coinvolti due o più docenti. Questo può risultare utile perché stimola i docenti a confrontarsi tra loro per ideare una proposta unitaria e coerente, la quale può essere realizzata in compresenza durante le lezioni o attivando dei moduli specifici all’interno di un unico insegnamento. Occorre tuttavia avere attenzione a non trasformare l’insegnamento in una serie di conferenze, nella quale si susseguono diversi relatori che non dialogano realmente tra loro.
La programmazione per moduli di un insegnamento che ha numerose ore di lezione può risultare utile anche per coinvolgere specialisti esterni, i quali vengono invitati per approfondire un aspetto specifico della materia, senza per questo essere onerati dalla gestione del corso (esami…) che rimane responsabilità del docente titolare. Anche in questo caso occorre una attenzione: a volte gli enti accademici ricevono la richiesta di attivare dei moduli o dei corsi complementari che siano una sorta di riassunto di un insegnamento fondamentale, in modo da renderlo fruibile per studenti uditori che non sono in grado di frequentare lezioni di tipo accademico. Questa opzione è da respingere perché compromette l’ordine e la coerenza della proposta formativa complessiva dell’Istituto. Infatti, lo studente ordinario che sceglie quell’insegnamento si troverebbe a frequentare lezioni di una materia che ha già affrontato – o che affronterà – in modo più ampio in un corso fondamentale. Questa inutile ripetizione è sempre frustrante e produce demotivazione all’apprendimento. Se un ente accademico vuole attivare proposte semplificate per una tipologia particolare di studenti, dovrebbe distinguerle nettamente dal Piano di Studi degli studenti ordinari, onde evitare queste incongruenze.
[1] Attualmente è Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Emilia. Insegna presso il medesimo istituto, lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia e la Pontificia Università Gregoriana. La sua area di ricerca ruota intorno al dialogo tra teologia ed esperienza, con una preferenza per gli studi interdisciplinari. Tra le pubblicazioni ricordiamo Vocazione cristiana come dialogo. Tra teologia e psicologia (20242), Sequela di Cristo tra fede e prassi (2019), Lo sguardo degli invisibili (2020), Antropologia Teologica (2022).
[2] Cfr. Le competenze indicate dai Descrittori di Dublino. Presentati a Dublino nel 2003, i descrittori sono stati introdotti nel 2005 nel Framework for the Qualifications of the European Higher Education Area (EHEA) e nelle Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education (ENQA) aggiornato nel 2015 (ESG 2015).
[3] Alcuni Istituti chiamano extracurriculari quegli insegnamenti che sono attivati una tantum, senza ripetersi secondo un ciclo predefinito. Gli insegnamenti extracurriculari ricadono ovviamente nella categoria dei complementari.
[4] Ad esempio la nuova Ratio per i seminari italiani prevede nell’iter formativo dei presbiteri un intero anno dedicato a fare sintesi tra quattro aree fondamentali: umana, spirituale, teologica, pastorale. Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Ratio Nationalis Istituzionis Sacerdotalis, Roma 2024.
[5] Le reprise sono piccoli testi scritti che ogni studente produce, in genere a metà e alla fine di un insegnamento. In essi viene richiesto allo studente di individuare un concetto chiave nelle lezioni che sta seguendo e intorno a quello abbozzare una prima riflessione che mostri i collegamenti con altri concetti e discipline studiate.