Stefania Cattin[1]
Abstract
L’evoluzione dei social network ha trasformato radicalmente la comunicazione globale portando con sé benefici e rischi. Autenticità e comunicazione occupano il posto centrale del dibattito perché i social non sono solo strumenti, ma luoghi dove si condividono esperienze di vita vera. Per tale motivo, la Chiesa, invita i cristiani a riflettere sul tipo di umanità manifestata anche in questi luoghi e invita a trasformare le connessioni virtuali in vere relazioni umane. Promuovere relazioni autentiche richiede attenzione all’ascolto, discernimento e verità. La Pastorale esorta a una presenza digitale che ispira e unisca, riflettendo l’amore di Cristo.
Introduzione
La velocità con cui la tecnologia evolve ha dato vita ad un nuovo contesto culturale e sociale e con l’avvento di Internet e dei social network il contesto comunicativo è cambiato in maniera radicale.
Anzitutto è necessario specificare che i social network non sono semplicemente un insieme di piattaforme, ma rappresentano una forma di interazione sociale, resa possibile dalla tecnologia, ancorata alle nostre esperienze e relazioni della vita reale. Le prime forme arcaiche di interazioni sociali tramite computer connessi risalgono agli anni settanta con i Bulletin Board System (Bbs), una specie di forum da cui gli utenti scaricavano dati, software e giochi, e Usenet, lanciato nel 1978, che permetteva anche discussioni di gruppo. Alla fine degli anni ’90, con la diffusione del Web 1.0, affondano le radici le comunità web company dove agli utenti è permesso aprire un profilo e mandarsi messaggi. Nel 1997 con Six Degrees nasce il Social Network che, oltre ad offrire la possibilità di avere un profilo e mandare messaggi, consente anche di avere una lista di amici, di chattare e di visitare il profilo di altre persone. Nel 2002 nasce Friendster che permette anche la condivisione di, foto, video, messaggi e commenti. I social network, come li intendiamo oggi, si diffondono, invece, a partire dal 2003, con la nascita di MySpace (comunità virtuale che permette agli utenti, di condividere musica, arte o prodotti della propria creatività) e soprattutto, nel 2004, con quella di Facebook.[2]
Quest’ultimo, in origine pensato “solo” come annuario per gli studenti di Harward, in pochissimi anni ha guadagnato popolarità e si è diffuso in tutto il mondo cambiando di fatto il nostro modo di essere e di comunicare.[3]
1. Una comunicazione dinamica
I social network, anzitutto: hanno reso disponibile una comunicazione globale dove le persone possono superare le barriere geografiche e connettersi con altri utenti in tutto il mondo; grazie alla possibilità di condividere con estrema facilità un’enorme quantità di contenuti hanno reso la comunicazione più dinamica; hanno democratizzato la comunicazione, permettendo a chiunque di esprimere la propria opinione e di raggiungere un vasto pubblico e il loro alto livello di sincronia permette un’interazione immediata;[4] questi nuovi ambienti digitali hanno originato nuove forme di influenza, visto e considerato che le persone possono diventare famose o influenti attraverso la creazione di contenuti virali[5] ed infine hanno introdotto nuovi linguaggi e abbreviazioni come hashtag, acronimi ed emoji.
Per questi e altri motivi, possiamo affermare che i social network hanno cambiato radicalmente il modo con cui le persone comunicano e si relazionano tra loro ma portano in seno anche molteplici aspetti negativi tra cui: la diffusione di fake news e disinformazione; la diffusione di un senso di inadeguatezza (a causa di continui paragoni tra la propria vita e quelle perfette mostrate online); isolamento sociale; un eccessivo individualismo e la superficialità delle interazioni.
La rete indiscutibilmente, offre un’occasione di incontro ma spesso le comunità che si formano in questo contesto danno solo l’illusione di essere vere comunità, se le analizziamo attentamente spesso risultano un insieme di persone unite meramente da interessi comuni e da legami piuttosto deboli. Tenendo presente che nella cultura attuale, la rete non può più essere considerata «altro» rispetto alla vita quotidiana, (infatti per molti, specialmente nelle giovani generazioni, non ci sono una vita online e una vita offline, separate e distinte, ma un’unica vita che integra entrambe le dimensioni, in tal senso, il filosofo italiano Luciano Floridi, ha coniato il termine «onlife» per far intendere che non è più l’essere umano ad essere online ma sono i media ad essere onlife),[6] si può ben comprendere quanto sia importante trovare un modo per trasformare questi incontri superficiali in relazioni autentiche perché solo così si possono porre le basi per costruire una vera comunione.
Su quest’ultimo aspetto, si è interrogata anche la Chiesa in qualità di comunità missionaria che riconosce la storia come luogo di salvezza, e non può vivere il suo magistero senza prendere in considerazione il contesto socioculturale nel quale opera.[7] Infatti, come si può evincere dai vari documenti pontifici, fin dai tempi antichi, la Chiesa ha utilizzato vari mezzi per diffondere il messaggio di Cristo, ed è consapevole che tramite i social può farlo con modi innovativi raggiungendo un pubblico più ampio e coinvolgendo in maniera più dinamica i giovani, che sono sempre più attivi online, ma ha anche compreso che i social non sono solo meri strumenti di comunicazione ma sono luoghi di vita in cui si le persone condividono esperienze, interagiscono e coltivano relazioni.
Proprio per tale motivo, invita i cristiani a riflettere attentamente su alcuni aspetti tra cui: quale tipo di umanità manifestano con la loro presenza negli ambienti digitali; come poter trasformare una connessione in una relazione significativa; come poter essere testimoni di Cristo anche onlife e come si possa promuovere una presenza che vada oltre alla semplice visibilità online.
2. Riflessione pastorale e social network
Il documento assai recente, scritto ad opera del Dicastero per la Comunicazione, intitolato «Verso una piena presenza. Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media», esordisce proprio con la domanda più importante, su come riuscire a farsi “prossimo amorevole”, lungo le strade digitali,[8] promuovendo relazioni fondate sulla fiducia, il rispetto e il dialogo tantopiù in un ambiente in cui non esiste prossimità fisica, spesso ostile e in cui le contrapposizioni e l’aggressività hanno la meglio.
Come dice Guido Mocellin: «Nel dire comune, si usa l’espressione “non facciamoci riconoscere” per alludere a comportamenti che svelano, irreparabilmente, i lati peggiori del carattere di una comunità. Noi invece dobbiamo, ne sono certo, “farci riconoscere” nell’ambiente digitale e in genere in pubblico proprio per lo stile incruento con il quale ci proponiamo. Ne va della credibilità della nostra testimonianza».[9]
Con la consapevolezza che questi nuovi modi di comunicare non sostituiscono l’incontro fisico e autentico, è essenziale che il cristiano non si limiti ad esistere sui social ma che si impegni in maniera attiva per costruire relazioni autentiche.
Ciò significa che deve prestare attenzione ai propri pensieri, alle proprie emozioni, rispondere ai commenti incoraggiando un dialogo civile e costruttivo, interagire e creare contenuti di valore che ispirano, supportano, coinvolgono e aiutano a sviluppare una comprensione reciproca, solo così si potrà raggiungere una “piena presenza”, capace di far rispecchiare nei social il volto della comunità e della sua missione. Per fare questo è necessario anzitutto, essere consapevoli delle insidie che contaminano lo spazio online come per esempio la disinformazione. Per poterla affrontare e prevenire è necessario verificare sempre le fonti, ricordando che la maggior parte delle informazioni che circolano in rete ci vengono mostrate sulla base di algoritmi che vogliono soddisfare i nostri interessi: è normale, dunque, essere esposti solo a certi tipi di informazioni parziali, e che non fanno che confermare le nostre idee.[10]
Tale problema è esacerbato dal cosiddetto «cherry picking», distorsione cognitiva molto studiato che ci induce, a fronte di una rosa di dati e informazioni, a cogliere solo quelle che rafforzano le convinzioni che abbiamo già.Questo è del tutto paradossale: quanto più siamo esposti a informazioni, tanto più siamo chiusi in una bolla che non fa che rafforzare in modo artificiale le nostre convinzioni.[11]
In questo modo le comunità social che si formanotendono ad unire solo persone che hanno interessi simili impedendo l’incontro con l’altro nella sua diversità. Non si incontra mai davvero l’altro, anche se si può avere questa illusione, e questo favorisce estremizzazioni, che portano con sé aggressività, violenza, abusi e disinformazione.[12]
Per evitare che questo accada, è necessario imparare a riconoscere questa logica per poterla contrastare, solo in questo modo si potrà favorire l’incontro con l’altro accogliendo e rispettando la sua diversità e creare un’autentica comunione.
Giovanni Tridente approfondisce altri rischi portati dai social media, e nella fattispecie rileva in primis la superficialità: se tali strumenti sono dotati di velocità, immediatezza e, il più delle volte, concisione,[13] il pericolo è quello della semplificazione eccessiva nei contenuti, con messaggi che arrivano incompleti o addirittura falsati: «[…] il legittimo (e a questo punto quasi doveroso) desiderio di “semplificare i concetti” non deve trasformarsi in un’operazione sbrigativa, frettolosa, generica o approssimativa, che sono appunto sinonimi di qualcosa realizzata in maniera semplicistica e perciò superficiale».[14]
Non bisogna poi dimenticare il pericolo di overdose (dis)informativa che crea confusione: spesso, come utenti, affrontiamo dati su dati, migliaia di opinioni e commenti, notizie decontestualizzate, ma nulla che sia in qualche modo formativo.[15]
Tale confusione è senz’altro acuita dalla carenza di attenzione, che si fa travolgere dalle informazioni e dalle interazioni senza concentrarsi mai su una questione alla volta.[16]
3. Elementi per la buona comunicazione
Come già affermato in precedenza, è proprio alla luce di tali rischi, e di altri che da questi derivano, che deve partire la riflessione sulla presenza dei cristiani e della Chiesa sui social media, per non cedere alla tentazione dell’individualismo: «Il discepolo che ha incontrato lo sguardo misericordioso di Cristo ha sperimentato qualcosa di diverso. Lui o lei sa che la buona comunicazione inizia con l’ascolto e la consapevolezza di trovarsi davanti un’altra persona. L’ascolto e la consapevolezza mirano a favorire l’incontro e a superare gli ostacoli esistenti, compreso quello dell’indifferenza. Ascoltare in questo modo è un passo essenziale per coinvolgere gli altri, è un primo ingrediente indispensabile per la comunicazione e un requisito per un dialogo autentico».[17]
La Pastorale utilizza qui la parabola del buon Samaritano che mostra come l’amore e la compassione possono trascendere le barriere culturali e sociali. Questo racconto è un esempio perfetto di incontro significativo fra sconosciuti, senza pregiudizi culturali[18] che può avvenire solo imparando a «vedere il valore e la dignità di chi è diverso da noi,[19] superando «le nostre bolle»[20], ascoltando bene e facendoci toccare dalla realtà dell’altro.[21]
L’ascolto prevede anche il silenzio, perché in un’epoca in cui i dispositivi digitali attirano costantemente l’attenzione, è necessario incoraggiare un utilizzo consapevole e responsabile dei social media, alternando la presenza online con momenti di silenzio e preghiere che permettono di riflettere su ciò che è stato detto senza farsi sopraffare dall’urgenza di cercare altrove o di condividere continuamente nuovi contenuti, questo permette di instaurare relazioni più profonde sia tra gli uomini sia con la dimensione trascendente.[22]
Il silenzio diventa come un terreno dove le parole possono germogliare e fiorire, permettendo una comprensione più significativa e profonda.
Va detto, però, che spesso nei social media, quando si parla di ascolto, si fa riferimento per lo più al monitoraggio dei dati e alle analisi di mercato, e tutto questo è senz’altro insufficiente per giungere a un vero dialogo e a un ascolto intenzionale. Per ascoltare in maniera autentica dobbiamo prima di tutto riconoscere che dietro all’immagine di un profilo digitale c’è una persona reale con una vita costellata di gioie ma anche di sofferenze.[23]
È fondamentale, «l’orecchio del cuore»[24] che: «Ci spinge invece ad aprirci all’altro con tutto il nostro essere: un’apertura del cuore che rende possibile la vicinanza. È un atteggiamento di attenzione e ospitalità che è fondamentale per stabilire una comunicazione».[25]
Oltre all’ascolto, anche il discernimento va perseguito, ponendosi domande su chi sia il nostro prossimo concetto complesso, specialmente sui social media: il nostro prossimo è senz’altro colui con cui abbiamo contatti, la cui vita ci riguarda anche se non possiamo vederlo fisicamente. A volte, non è nemmeno presente, in un ambiente dove operano anche bots e deepfake.[26]
Anche in assenza di vicinanza fisica, tenendo sempre in considerazione il contesto e l’intenzione delle persone coinvolte, gli incontri che si instaurano attraverso i media digitali possono essere profondi e assumere un valore significativo soprattutto quando le persone comunicano in maniera autentica, si supportano a vicenda e quando condividono esperienze vere.[27]
Online non è sufficiente, comunque, affermare di essere cristiani: è invece di primaria importanza farsi coinvolgere in dinamiche relazionali autentiche, che escludano interazioni violenti, ostilità, denigrazioni[28] ecco perché è necessario che «Tutti noi possiamo essere dei passanti sulle “strade digitali”, semplicemente “connessi”; oppure possiamo fare qualcosa come il Samaritano e permettere che le connessioni si trasformino in veri incontri. Il passante casuale diventa “prossimo” quando presta assistenza all’uomo ferito, fasciando le sue ferite. Nel prendersi cura di lui, mira a guarire non solo le ferite fisiche, ma anche l’ostilità e le divisioni che esistono tra i loro gruppi sociali».[29]
Essere presenti sui social pone anche la questione di quale sia la strategia più efficace per raggiungere gli utenti/persone, ma bisogna ricordare che la comunicazione non è solo strategia: piuttosto, consiste nel dare tutto sé stesso.[30]
Come afferma papa Francesco, «l’amore per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi».[31]
Per comunicare la verità, innanzitutto è necessario: essere fonti attendibili, in grado di trasmettere solo informazioni veritiere che riflettono i principi e gli insegnamenti del Vangelo; creare e diffondere messaggi che invece di far nascere o esacerbare divisioni e ostilità siano orientati a portare aiuto, unione e conforto.[32]
Va ricordato, inoltre, che il cristiano non si fa portavoce di sé stesso ma parla perché fa parte di una comunità e costruisce comunità quindi bisogna riscoprirsi parte di un gruppo,[33] nonostante i social facilitino le iniziative individuali e le rendano più semplici: «Come comunicatori cristiani siamo chiamati a testimoniare uno stile di comunicazione che non sia fondato solo sull’individuo, ma su un modo di costruire la comunità e l’appartenenza. Il modo migliore per trasmettere un contenuto è mettere insieme le voci di coloro che amano quel contenuto».[34]
La pastorale invita i cristiani, ad agire come una comunità che attinge dalle capacità messe a disposizione dai suoi membri per far fronte a sfide globali, attraverso una combinazione di interventi e azioni ispirate dagli insegnamenti di Gesù, che mirano a promuovere la dignità della persona, a diminuire le disuguaglianze sociali e a dar voce ai poveri e agli emarginati.[35]
Il documento del Dicastero termina esortando i cristiani ad essere sempre testimoni vivi dell’amore di Cristo,[36] ricordando che ogni persona che sceglie di seguire le orme del buon Samaritano, dimostrando compassione per chi incontra ossia facendosi carico della sofferenza altrui, riflette la misericordia di Dio perché attraverso le proprie azioni, rende tangibile l’amore divino.[37]
Conclusione
In sintesi Verso una piena presenza ci esorta a considerare i social media non come fini a sé stessi, ma come una grande opportunità che permette di porre le basi per creare comunione attraverso una presenza autentica e guidata dai valori cristiani.
I cristiani sono chiamati a «suscitare una domanda, risvegliare la ricerca. Il resto è l’opera misteriosa di Dio».[38]
Questo approccio è fondamentale perché aiuta ad evitare l’autoreferenzialità dell’uomo, spostando il focus dell’attenzione dalla celebrazione di sé stesso alla ricerca di verità più profonde. Inoltre incoraggia i cristiani a mantenere quello stato di umiltà, gratitudine e fiducia che aiuta a riconoscere i limiti della natura umana e ad impegnarsi nel presente mantenendo sempre viva quella fede nella Provvidenza Divina, che ci ricorda che non siamo soli, perché c’è un disegno più grande che ci guida e ci abbraccia.
[1] È docente di IRC dal 2018 e attualmente insegna presso la scuola primaria dell’I.C 4 e dell’I.C 3 di Modena. Il presente articolo è stato elaborato a partire dalla tesi Magistrale discussa all’ISSRE di Modena.
[2] Cfr. M. Massarotto, Social Network. Costruire e comunicare l’identità in Rete, Apogeo, [s.l], 2011.
[3] Cfr. M. D’amore – E. Valdani, Italiani 2.0. Come gli italiani utilizzano i social network per comunicare, lavorare e vivere, Egea, Milano 2015, 57.
[4] Cfr. L. Petti, Apprendimento informale in rete. Dalla progettazione al mantenimento delle comunità on line, Franco Angeli, Milano 2011, 75-76.
[5] Cfr. M. G. Confetto, Social media content. Una prospettiva manageriale, G. Giappichelli editore, Torino 2015, 150.
[6] Cfr. L. Floridi, La quarta rivoluzione industriale, come l’infosfera sta cambiando il mondo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017, 47.
[7] Cfr. Benedetto XVI, Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti dell’assemblea plenaria del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, 29 ottobre 2009, in https://www.vatican.va [09/02/2025].
[8] Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza. Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media, 28 maggio 2023, n.1, in https://www.vatican.va [09/02/2025].
[9] B. Mastroianni – G. Tridente, La missione digitale. Comunicazione della Chiesa e social media, Edizioni Santa Croce, Roma 2016, 4.
[10] Cfr. Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza, n.14, in https://www.vatican.va [09/02/2025].
[11] Cfr. J. Angiuli – L. Rozza, Come difendersi dalle storie. La fabbrica del dubbio, Blonk editore, [s.l] 2024, 47.
[12] Cfr. Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza, cit., n.15.
[13] Cfr. Mastroianni – Tridente, La missione digitale,cit., 37.
[14] Ivi 38.
[15] Cfr. ivi 39.
[16] Cfr. Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza, cit., n. 33.
[17] Ivi n. 25.
[18] Cfr. ivi n. 26-27.
[19] Ivi, n. 29.
[20] Ivi.
[21] Cfr. ivi.
[22] Ivi n. 34-36.
[23] Cfr. Ivi n. 38.
[24] Ivi n. 38.
[25] Ivi n. 38.
[26] Cfr. ivi n. 42-43.
[27] Cfr. ivi n. 48.
[28] Cfr. ivi n. 50.
[29] Ivi n. 52.
[30] Cfr. ivi n. 64.
[31] Francesco, Messaggio per la 50a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Comunicazioni e misericordia: un incontro fecondo, 24 gennaio 2016, in https://www.vatican.va [09/02/2025].
[32] Cfr. Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza, cit., n. 66.
[33] Cfr. ivi n. 67.
[34] Ivi n. 68.
[35] Ivi n. 76.
[36] Cfr. ivi n. 80.
[37] Cfr. ivi n. 81.
[38] Ivi n. 80.