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Fabio Quartieri[1]

Abstract

L’articolo offre alcune piste di lettura in merito alla cristologia che traspare dalla Costituzione dogmatica Lumen gentium. In concreto, vengono compiuti tre sondaggi di varia natura: 1) mettendo in rilievo una certa insistenza sul tema della presenza e della azione attuale di Cristo nella Chiesa; 2) commentando brevemente i due passaggi della costituzione ritenuti più significativi dal punto di vista cristologico (LG 2 e 8,3); 3) dando conto degli apporti cristologici veicolati tramite il rimando ai Padri della Chiesa.

Introduzione

In queste brevi note illustreremo alcuni aspetti della cristologia che permea la Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II; condurremo tre “sondaggi” diversificati, attraverso lo studio di:

  1. un tema specifico: la presenza/azione attuale del Cristo glorioso nella Chiesa, e i suoi referenti biblici;
  2. due testi del cap. I: LG 2 e LG 8,3;
  3. alcune note sull’utilizzo delle fonti patristiche.

Si tratterà, chiaramente, solo di brevi accenni, con cui però confidiamo di rilevare alcune interessanti piste di riflessione, peraltro non prive di reciproche connessioni, che il lettore stesso potrà rilevare.

1. La presenza e l’azione di Cristo nella Chiesa

«Per il Vaticano II il Cristo non è soltanto fondatore: egli è fondamento permanente, attivamente presente alla permanente costruzione e alla vita della chiesa»:[2]  in questo spostamento d’accento, rispetto all’ecclesiologia precedente, Y. Congar vedeva sia la possibilità di riconoscere in vari testi del Vaticano II un sano cristocentrismo, conforme alla Scrittura, sia la possibilità di respingere le accuse (soprattutto a LG) di “cristomonismo”. Come egli notava, tale spostamento e tale insistenza sull’attualità dell’azione del Cristo risorto sono in profonda connessione con la teologia della Chiesa-sacramento e trovano espressione nella categoria della “presenza” di Cristo nella Chiesa e, per mezzo di essa, nel mondo[3].
Limitandoci a LG, osserveremo come questa categoria abbia una rilevanza che si estende aldilà dei pochi utilizzi del termine, e si esprime, ad es., anche attraverso il rimando a passi evangelici quali Mt 28,20 e, più ancora, Gv 5,17.
Quanto alle menzioni del termine, esse sono sostanzialmente tre (giacché al n. 5 si parla piuttosto dell’esistenza storica di Cristo, e per parlare propriamente del regno di Dio che «comincia a splendere agli occhi degli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo»).
La prima, al n. 14, è, per così dire, la semplice enunciazione di una tesi, ancora nella linea dell’ecclesiologia del Corpo Mistico: «Soltanto Cristo è il mediatore e la via della salvezza; e Lui si rende presente a noi nel suo corpo che è la Chiesa»; dunque si tratta più propriamente della presenza di Cristo attraverso la Chiesa, che non della sua presenza in essa, benché i due aspetti non si escludano.
Le altre due occorrenze del termine, ai nn. 21 e 26, vanno invece nell’accennata direzione della sacramentalità, e risultano più rilevanti nel testo conciliare.
La prima è l’esordio del n. 21, sul delicato tema della sacramentalità dell’episcopato, e (riprendendo un testo di Leone Magno) afferma: «In mezzo ai credenti è presente il Signore Gesù Cristo pontefice sommo, nella persona dei vescovi assistiti dai presbiteri. Assiso alla destra di Dio Padre, non è però assente dall’assemblea dei suoi pontefici».[4]
La seconda, ancora nel cap. III, è invece inserita in un abbozzo, piuttosto isolato, di ecclesiologia eucaristica: «In queste comunità, anche se spesso piccole e povere o viventi nella dispersione, è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la chiesa una, santa, cattolica, e apostolica».[5]
Lo stretto legame del tema “presenza di Cristo” con la questione della sacramentalità dell’episcopato risalta anche nell’utilizzo che LG fa di Mt 28,20. A questo passo, infatti, si rimanda più volte nella Costituzione, con riferimento a testi di estensione variabile: da tutta la pericope al solo v. 20; quest’ultimo ricorre in totale sei volte, di cui quattro al cap. III (nn. 19[2x]; 20; 24).[6]
In questi passi l’attenzione al versante cristologico delle parole di Gesù – affermazione sulla sua exousia e promessa della sua presenza – passa però in secondo piano rispetto al tema apostolico/missionario; l’interesse, cioè, cade sulle parole centrali (vv. 19-20a: «Andate dunque… tutto ciò che vi ho comandato»), tralasciando la “cornice” – per nulla ornamentale[7] – dei vv. 18 e 20b: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. […] Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni…».
La presenza, e ancor più l’azione, del Cristo glorioso nella Chiesa e nel mondo sono meglio sottolineate da alcune allusioni a un altro passo – Gv 5,17, che nella Vulgata suona «Pater meus usque modo operatur, et ego operor» – che LG non cita mai esplicitamente, ma a cui talvolta sembra rimandare. Se ne trova un’eco in LG 41: «[I lavoratori] si facciano imitatori di Cristo, il quale con le sue stesse mani ha esercitato il lavoro di carpentiere, lui che è sempre all’opera insieme con il Padre per la salvezza di tutti»; lo stesso v. sembra essere sullo sfondo anche in LG 48, insieme ad At 2,47 («Assiso alla destra del Padre, continua a operare nel mondo per condurre alla chiesa gli uomini, e unirli così più strettamente a sé») e, insieme forse a Mc 16,20, nell’inciso iniziale di LG 54: «la dottrina sulla chiesa, nella quale il Redentore divino opera la salvezza…».
Come si vede, non si tratta di passaggi centrali del testo, ma il fatto che la Costituzione torni più volte su questo punto, casomai di sfuggita e mediante i diversi accenni ricordati (il termine presenza e i due vv. evangelici), conferma come si avvertisse la necessità di ribadire, pur senza enfatizzarla, la verità della presenza attuale di Cristo risorto nella Chiesa, piuttosto assente nella manualistica dell’epoca.

2. Alcune note su LG 2 e 8,3

Soffermandoci ora sul solo cap. I di LG, cercheremo di cogliere le principali affermazioni su Cristo in esso contenute. Trattando del «mistero della Chiesa» non vi è una sola riga che non faccia riferimento più o meno esplicito a Lui, ma i punti di maggior interesse cristologico si possono individuare nei nn. 2 e 8, attorno ai quali è possibile far convergere gli altri passaggi.
Può sorprendere che il primo punto di interesse sia il n. 2, sul disegno salvifico universale del Padre, e non il n. 3, sulla missione e l’opera del Figlio; tuttavia, questa scelta ci sembra più rispettosa dell’andamento del testo che è cristocentrico non solo nel proemio del n. 1 – “a discapito” della Chiesa[8] – ma anche nell’esordio trinitario (nn. 2-4). Cristocentrico, infatti, è anzitutto il disegno eterno del Padre, come LG afferma con forza, poggiandosi (senza scomodare lo scotismo[9]) su Col 1,15 e Rm 8,29.
A proposito del secondo testo[10] si può notare come – pur introducendo le successive affermazioni sulla Chiesa – esso conservi uno sguardo molto ampio sul mistero della salvezza in Cristo, ancora senza riferimento esplicito alla Chiesa; non può sfuggire, inoltre il tema dell’“immagine”, che le due citazioni scritturistiche riferiscono a Cristo, prima in chiave trinitaria (il Figlio immagine del Padre) e poi soteriologica (gli uomini chiamati a essere immagine del Figlio).
Anche il periodo successivo, pur avendo come soggetto il Padre e come oggetto la Chiesa (nelle varie fasi della storia umana), fa’ diretto riferimento a Cristo, poiché la Chiesa è appunto indicata come l’insieme di «coloro che credono in Cristo»; si tratta chiaramente di una «concezione ampliata», «nel suo senso più lato, l’unico che in definitiva si riveli esatto»,[11] in cui il “credere in Cristo” è più un’affermazione sull’unicità della sua mediazione salvifica che non sulla “fede” degli antichi o di coloro che non lo conoscono: «quello che soprattutto importa è la comunione con Cristo Salvatore, origine di ogni vita e sorgente di ogni grazia».[12]
In questa medesima linea si inserisce e si comprende la successiva affermazione sull’Ecclesia ab Abel, tema patristico per giustificare il “ritardo” della venuta di Cristo nel mondo; anziché sminuire l’importanza dell’Incarnazione, questo tema ribadisce come essa sia condizione indispensabile della «comunione con Cristo Salvatore» di cui parla Philips, comunione possibile per tutti coloro che, come Lui, il Figlio Incarnato, «passano questa esistenza nella giustizia».[13]
A confronto col n. 2, il successivo n. 3 appare più “debole” dal punto di visto cristologico. L’esordio si presenta infatti come un sommario del paragrafo precedente e l’importante tema della “ricapitolazione” è solo accennato;[14] anche il passaggio successivo pare più orientato a introdurre il tema del Regno (su cui tornerà il n. 5) che non a soffermarsi sul mistero e sulla oikonomia della redenzione, meglio illustrata al n. 8.
Proprio questo, nel suo terzo paragrafo, è ricco di spunti cristologici e di considerazioni “nuove”, almeno in un testo conciliare;[15] si tratta, come noto, del passo che richiama la normatività della via Jesu per la Chiesa, e in cui trovano parziale eco le istanze del cosiddetto gruppo conciliare della “Chiesa dei poveri”. Già in entrambi i numeri precedenti (LG 6 e 7), è opportuno rilevare l’immagine sponsale per parlare del rapporto Cristo-Chiesa: anche se nel testo finale non si accorda ad essa una preferenza rispetto alle altre esposte al n. 6,[16] è bene notare come essa sia una chiave privilegiata per introdurre le tematiche di LG 8: «La Chiesa deve dunque percorrere il cammino di Cristo perché essa è la sua fedelissima Sposa» e come potrebbe «una sposa vestirsi e vivere diversamente da come la vuole e l’ama il suo sposo?».[17]   
Se effettivamente in tutto il paragrafo «il problema della povertà è affrontato unicamente dal punto di vista cristologico»,[18] i commentatori (e in parte estensori[19]) del testo sembrano divergere quando si tratta di precisare il tema della povertà di Cristo stesso. Mentre cioè Philips vede nei testi paolini citati (Fil 2,6 e 2Cor 8,9) «non […] soltanto il fatto dell’Incarnazione, ma anche il genere di vita di Colui che non aveva un sasso dove posare la testa»,[20] Dupont vi scorge soprattutto l’attenzione al mistero della sua passione e morte, a ciò che esse rivelano e a ciò che significano per i destinatari delle lettere: «Questa volontaria spogliazione di Cristo non è che l’effetto e la manifestazione del suo amore per gli uomini. Il mistero della sua povertà è un mistero d’amore. […] Ecco perché Paolo trae dalla povertà di Cristo una lezione di carità fraterna».[21]
È evidente che le due prospettive non si escludono, ma la riflessione di Dupont sembra più adatta sia a fondare il “cristocentrismo” di questo paragrafo – che non solo ammette la possibilità della povertà della Chiesa,[22] ma ne fa una vera e propria vocazione – sia a illuminare il mistero dell’identificazione di Cristo coi poveri; se infatti nel testo si è evitato di affermare la presenza di Cristo nei poveri[23] e sofferenti (limitandosi a dire che in essi la Chiesa «riconosce l’immagine del suo fondatore povero e sofferente […] e in loro intende servire Cristo»), tuttavia è proprio nella Passione ingiustamente sofferta che Dupont vede il motivo decisivo della “somiglianza” tra Cristo e loro: «Portando anch’essi il peso del peccato e dell’egoismo degli uomini, i poveri e i bisognosi riflettono sul loro volto doloroso la sofferenza del Cristo carico dei nostri peccati. Vittime dell’umana ingiustizia, essi condividono con il Cristo la maledizione del peccato; essi sono così tra noi, per sempre, i testimoni della croce redentrice».[24]
Queste ultime parole (che indicano «per sempre» i poveri come, certo involontari, «testimoni della croce») non spingono anch’esse a riconoscere in Cristo non solo il lontano «fondatore» ma – come visto sopra – il presente fondamento della Chiesa?
Infatti, se pur non ne afferma la presenza nei poveri, questo testo non invita a pensare l’azione attuale di Cristo anche come una fondazione della Chiesa attraverso i poveri? In altri termini, quelli utilizzati all’inizio del paragrafo: non è da Lui che essa è, ora e sempre, «chiamata a prendere la [sua] stessa via»? E non è questa vocazione da parte sua a fondare la Chiesa, ogni volta che essa si impegna, come e dietro a Lui, nel «portare la buona novella ai poveri» (Lc 4,18) e nel «cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10)? Non è anche così che Cristo, oggi e sempre, fonda la Chiesa: sia mostrando la sua immagine nei poveri che la interpellano, sia infondendo in lei l’amore[25] con cui soccorrerli? Non è anche così, infine, che avviene, per opera continua del suo Sposo,[26] quella purificazione di cui la Chiesa si riconosce sempre bisognosa, alla fine di LG 8,3? Se rispondiamo affermativamente, LG 8,3 risulta essere una delle migliori illustrazioni di come intendere ciò che dice la Costituzione quando afferma (come visto sopra) che Cristo è presente e sempre all’opera nella Chiesa.         

3. I Padri e la cristologia di Lumen gentium

Verifichiamo infine – sulla scia del lavoro, più volte citato, di D. Gianotti – se si possa riconoscere una specifica eco patristica nella cristologia di LG.
Imprescindibili sono anzitutto le osservazioni di Gianotti sulla non-casualità del ricorso ai Padri[27] e sulle varie funzioni che assume il rimando al loro insegnamento:[28] 1) funzione prospettica, come chiave di lettura unificante; 2) funzione integrativa, per recuperare aspetti e temi “dimenticati” della tradizione teologica; 3) funzione persuasiva, ad esempio su temi delicati e disputati; 4) funzione segnaletica, per evidenziare elementi e temi di particolare rilievo. 
Sulla base di queste e di altre osservazioni, Gianotti giudica comprensibile l’assenza di riferimenti patristici espliciti in testi – per stare al cap. I – come LG 3 («dove non se ne avverte il bisogno, si fa a meno di ricorrere ai Padri; e non perché questi non abbiano niente da dire su un determinato tema […] ma, più semplicemente, perché quanto si viene dicendo crea meno problemi, o è più pacificamente acquisito»[29]) o LG 6 (dove la scarsità di rimandi dipende dal fatto che qui si fa «qualcosa di più che “citare” i Padri: […] la costituzione si muove in questo testo come facevano i Padri» tanto che «LG 6, assai povero quanto a citazioni o allusioni patristiche è però uno dei passi più patristici di tutta la costituzione»[30]). Comprendiamo meglio, allora, come – a differenza del n. 3 – si trovino svariati rimandi patristici al n. 2, con funzioni prospettiche (lo sguardo trinitario sul mysterium ecclesiae) e integrative (sull’ecclesia ab Abel);[31] analogamente, invece, a quanto detto su LG 6, ci possiamo chiedere se LG 8,3 pur privo di rimandi ai Padri, non sia esso pure profondamente “patristico”, sia nello stile (il triplice parallelismo e l’antitesi finale fra Cristo e la Chiesa) sia nel contenuto (l’insistenza cristologica di questo passo dove, per dare giusta attenzione e collocazione alla povertà della Chiesa, LG altro non fa, ancora una volta, che «investigare il mysterium attraverso la lectio delle Scritture»[32]).
Andando oltre LG I, Gianotti riconosce poi una chiara funzione prospettica al tema cristologico della ricapitolazione, posto in posizione “strategica”, all’inizio della seconda parte del cap. II (n. 13), dedicata alla universalità del popolo di Dio: il richiamo alla riflessione di Ireneo permette qui di «dischiudere la grande visione unitaria dell’insieme della creazione e della redenzione, derivante da Cristo e in via di ritornare a lui come all’unico Capo».[33]
Evidente funzione persuasiva ha invece il rimando a Leone Magno in LG 21 (nota 53), laddove il tema della presenza di Cristo nella persona dei vescovi supporta la dibattuta dottrina sulla sacramentalità dell’episcopato; lo stesso testo, però, assolve anche ad una preziosa funzione integrativa, e proprio dal punto di vista cristologico visto che «i trattati neoscolastici di cristologia non avevano alcun accenno alla presenza pneumatica del Cristo risorto nella Chiesa e nei suoi ministri».[34]
Nel medesimo cap. III, al n. 29, ha una marcata funzione persuasiva anche un’altra citazione a tema cristologico: quella «del beato Policarpo» con cui si fonda la “nuova” teologia e spiritualità del diaconato nell’esempio e nella missione «del Signore, il quale si è fatto servo di tutti».[35]
Un ultimo tema introdotto col supporto (qui integrativo e persuasivo) dei Padri è quello della nascita di Cristo nel cuore dei fedeli, al n. 65: «Cristo è stato concepito ed è nato dalla Vergine al fine di poter nascere poi anche nel cuore dei fedeli per mezzo della chiesa». Nel testo finale di LG nessuna nota rinvia al fondamento patristico di questa dottrina, ma se ne ha chiara traccia nel commento di Philips[36] (che rimanda ad Ambrogio, Agostino, Beda e Isacco della Stella) e negli Acta relativi alla travagliata redazione del cap. VIII di LG.[37]
Nel consistente apporto dei Padri a LG non mancano dunque, accanto ai temi prettamente ecclesiologici, anche un buon numero di riferimenti alla cristologia; Gianotti, pur consapevole delle difficoltà e dei rischi insiti nel voler rilevare e interpretare i “silenzi” del testo, mette in rilievo alcune dottrine dell’ecclesiologia patristica che sembrano essere state “trascurate”, del tutto o in parte, dai padri conciliari[38]; tra queste (rifacendosi a De Lubac) nota anche la distanza tra l’insegnamento patristico e quello conciliare sul tema della Chiesa-sposa e quindi, dal nostro punto di vista, di Cristo-sposo. Non è, come visto, un tema assente in LG, ma di certo è un tema rimasto marginale; si fosse sviluppata, su questo, una riflessione con «la stessa consistenza e […] le stesse risonanze che si possono individuare nella dottrina patristica»,[39] avrebbe probabilmente avuto un peso diverso – come visto – anche la riflessione sulla Chiesa sancta simul et semper purificanda (LG 8,3).      


[1] Direttore della Scuola di Formazione Teologica della Diocesi di Bologna. Docente alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna.

[2] Y. Congar, «Implicazioni cristologiche e pneumatologiche dell’ecclesiologia del Vaticano II», in Cristianesimo nella Storia 2(1981)1, 100.

[3] Cfr. Ivi, 100s.

[4] Cfr. D. Gianotti, I Padri della Chiesa al concilio Vaticano II. La teologia patristica nella Lumen Gentium, EDB, Bologna 2010, 314; 356s.

[5] Cfr. Ivi, 248; 321; S. Noceti – R. Repole, Commentario ai documenti del Vaticano II, 2: Lumen gentium, EDB, Bologna 2015, 288s.

[6] Cfr. anche LG 8 e 17 (unica citazione per esteso).

[7] Cfr. R. Fabris, «“Fate mie discepole tutte le nazioni” (Mt 28,19)», in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione, 9(2005) 210-217.

[8] Cfr. G. Philips, La Chiesa e il suo mistero, Jaca Book, Milano 1975, 69.

[9] Cfr. Ivi, 77.

[10] Sui motivi del suo inserimento, cfr. Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Œcumenici Vaticani II, Città del Vaticano 1970-1999 [da ora: AS], III/1, 171.

[11] Philips, La Chiesa, 78; 80.

[12] Ivi, 81s; cfr. AS II/1, 222 nota 1.

[13] Cfr. Agostino, Discorsi 341,9,11, cit. alla nota 2 di LG e riportato per esteso in AS II/1, 222. Nel passaggio precedente, Agostino accenna più esplicitamente alla fondamentale dimensione della figliolanza: «dal giusto Abele sino alla fine dei secoli, fino a quando uomini daranno e riceveranno la vita…»; evidentemente non ci sono altri modi, oltre alla figliolanza, per passare attraverso «questa esistenza!».

[14] Sulla redazione di LG 3, cfr. D.Gianotti, I Padri, 304s.

[15] Cfr. J. Dupont, «La Chiesa e la povertà», in G. Baraúna (a cura di), La Chiesa del Vaticano II, Vallecchi, Firenze 1965, 417; C. Lorefice, Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Paoline, Milano 2011, 271; utile anche G. Ruggeri, «Evangelizzazione e stili ecclesiali: Lumen Gentium 8,3», in D. Vitali (a cura di), Annuncio del Vangelo, forma ecclesiae, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, 225-256.

[16] Cfr. invece il commento in AS II/1, 230: «praesertim de Sponso et sponsa».

[17] Espressioni di A. Ancel e P. Gauthier, cfr. Dupont, «La Chiesa», 389s, note 6 e 8.

[18] Ivi, 389.

[19] Sul ruolo di p. Dupont nella stesura di LG 8,3 cfr. Lorefice, Dossetti e Lercaro, 266, nota 42.

[20] Philips, La Chiesa, 113; gli stessi vv. ricorrono insieme anche in LG 42.

[21] Dupont, «La Chiesa», 401s.

[22] Così sembrava nello schema di aprile 1963 (cfr. AS II/1, 220) e nel suo commento (Ivi, 230).

[23] Cfr. Dupont, «La Chiesa», 412s; 417; Lorefice, Dossetti e Lercaro, 270s.

[24] Dupont, «La Chiesa»,417.

[25] Cfr. Philips, La Chiesa, 115.

[26] Come già ricordato l’immagine sponsale era stata giudicata “migliore” delle altre di LG 6 proprio per la possibilità di distinguere, come fa LG 8,3, tra la santità di Cristo e la Ecclesia purificanda: cfr. AS II/1, 230.

[27] Cfr. Gianotti, I Padri, 363-366; 388.

[28] Cfr. Ivi, 392s.

[29] Ivi, 388.

[30] Ivi, 390.

[31] Cfr. Ivi, 393s.

[32] Ivi, 390; cfr. Dupont, «La Chiesa», 391; 394.

[33] Gianotti, I Padri, 395.

[34] Cfr. Ivi, 373, nota 27, cit. di P. Hünermann.

[35] Cfr. Ivi, 400.

[36] Philips, La Chiesa, 568; 570.

[37] Cfr. Gianotti, I Padri, 353s.

[38] Cfr. Ivi, 403s.

[39] Ivi, 404.