Al momento stai visualizzando Insegnare con “il cuore sul volto”

Elementi della Teoria Polivagale, di Mindfulness e di Neuroscienze a supporto dell’insegnamento della Psicologia.

Laura Ricci[1]

Abstract

L’articolo, tenendo conto delle ricerche neuro scientifiche degli ultimi vent’anni, mette in relazione alcuni elementi della Teoria Polivagale e della pratica della Mindfulness a supporto dell’insegnamento della Psicologia.
Un’attenzione particolare viene data alla congruenza vitale tra il processo di apprendimento, le materie insegnate e lo sviluppo delle competenze relazionali. Per i futuri insegnanti di religione, per gli operatori pastorali e per gli educatori, queste “competenze di vita” sono fondamentali per creare e coltivare un clima di classe e di gruppo fondati su una modalità consapevole di relazione che renda la speranza di un’emozione incarnata e condivisa. Il lettore viene accompagnato da due coppie di parole guida per comprendere come “indossare il proprio cuore sul volto”.

Dall’Anno Accademico 2015-16 gli studenti che frequentano i corsi di Psicologia, presso a Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna e l’Istituto di Scienze Religiose di Bologna, sono incoraggiati ad applicare i contenuti e gli strumenti appresi durante le lezioni, utilizzando le risorse del gruppo di apprendimento per l’individuazione delle possibili soluzioni didattiche ed educative. Infatti, la metodologia utilizzata durante i corsi è un mixtra la formazione esperienziale e la docenza frontale che permette di collegare l’attività̀ in aula con esperienze lavorative e casi concreti, rendendo l’apprendimento significativo, ovvero intenzionale, collaborativo, costruttivo e riflessivo.
In particolare, chi frequenta Psicologia della Religione viene invitato a riflettere su come la religione, e la sua assenza, influenza le emozioni, i sentimenti, gli atteggiamenti, le credenze, i vissuti, gli agiti e i comportamenti delle persone e dei gruppi sociali. Il focus del corso si concentra, dunque, su ciò che rimane quando un individuo fa esperienza della religiosità. E non di un individuo qualsiasi, ma di tutti coloro che, in quell’anno accademico, compongono la classe.
Agli studenti di Psicologia dell’Età Evolutiva viene invece offerta l’esperienza di prendere contatto con le principali teorie dello sviluppo e con gli strumenti concettuali e metodologici per la comprensione dei fondamentali processi di crescita dell’essere umano nei diversi ambiti psicologici: percettivo, fisico, emotivo, motorio, cognitivo, comunicativo e sociale. Ripercorrere gli stati evolutivi del Sé consente loro di divenire consapevoli della loro storia evolutiva, della responsabilità educativa che hanno e di come loro stessi sono, e saranno, dei “ponti” che permetteranno ai loro allievi in entrare in con-tatto con le fatiche e le gioie del divenire grandi.
A chi frequenta il corso di Psicologia Dinamica, infine, vengono fornite le conoscenze metodologiche di base della psicologia della personalità con particolare riferimento alla Teoria Analitico-Transazionale, seguendo i recenti sviluppi scientifici e le nuove alleanze fra scienze psicologiche e neuroscienze. Di esse vengono approfondite le implicazioni pratiche, in particolare nel lavoro di insegnamento ed accompagnamento.
La metodologia[2] utilizzata durante ogni corso è attiva, simbolica, dinamica, relazionale e narrativa poiché, insieme alla docenza frontale, permette di collegare l’attività in aula con esperienze lavorative e casi concreti. Gli studenti sono infatti invitati ad applicare i contenuti e gli strumenti appresi utilizzando le risorse del gruppo di apprendimento per l’individuazione delle possibili soluzioni didattiche ed educative. L’intenzionalità del docente è quella, dunque, di offrire un modellamento di processo che possa contribuire ad aprire la porta del “senso”, facendo passare, con questa metodologia: l’amore per la conoscenza, la curiosità e lo spirito di ricerca, la voglia di apprendere, il pensiero critico, la resilienza, la creatività e la passione per l’insegnamento, l’accompagnamento e la cura utilizzando modi di pensare inclusivi.
Attraverso questo stile di insegnamento relazionale consapevole, gli studenti possono a loro volta crescere nella consapevolezza della loro religiosità e della loro motivazione ad insegnare ed accompagnare. Questa intenzionalità progettuale, secondo la Mindfulness[3] è già parte del processo di modellamento[4]  poiché, ogni volta che viene preparata una lezione, il gruppo classe viene portato nella mente incarnata del docente[5]. Così, ogni studente è aiutato a potenziare i propri stati mentali salutari e può auto-valutare il proprio percorso didattico da diversi punti di vista:

  • contenutistico: cosa ha imparato con il suo stile di apprendimento;
  • procedurale: come la modalità con la quale ha imparato ha contribuito alla sua formazione personale e professionale;
  • meta-cognitivo: quanto è consapevole che apprendere aiuta ad essere, e quindi, concorre al proprio senso di autoefficacia e autostima;
  • meta-emotivo e motivazionale: come si è “sentito”[6]  mentre imparava a sviluppare sicurezza interiore, connessione ed espansione del Sé e come ciò che ha appreso lo aiuterà nel suo futuro ruolo di insegnante di religione cattolica o di operatore pastorale.

Così, quando a sua volta insegnerà e accompagnerà, saprà essere presente a sé stesso e ai suoi gruppi/classi, con mente e cuore integrati, accoglienti, autentici e non giudicanti. Se come docenti ed educatori sappiamo parlare a noi stessi in una tonalità di voce interiore gentile e comprensiva, questo cambia il nostro sguardo sui colleghi e sugli studenti, creando contesti di apprendimento ed accompagnamento empatici, leggeri e interconnessi.
Questo processo relazionale è sostenuto dalla modalità di conduzione «Wearing your heart on your face», ovvero «indossando il tuo cuore sul tuo viso»[7]. Questa espressione è bellissima e commovente, tanto da dare titolo e voce a quest’articolo perché, anche attraverso queste righe, possa arrivare la potenza della relazione “faccia-cuore”. È questa modalità prosociale che consente il processo di insegnamento incarnato[8].
Con le due coppie di parole guida sottostanti, i lettori possono ripercorrere i processi di pensiero, di apprendimento, di insegnamento, di accompagnamento e cura, il clima caldo e le emozioni che sono stati sperimentati durante i corsi di psicologia. Ogni parola «è sempre un invito ad essere»[9]  e fa parte di una storia relazionale della ricerca di senso, e di quel senso, che muove le azioni didattiche e pastorali. E, a volte, quella parola cade proprio dove era attesa, da anni.

1. Vergogna/compassione

“Prof, non dovrei stare così male per quel mio allievo!… E per me non dovrebbe essere così difficile! A volte mi sento proprio ridicolo e mi sento colpevole di non riuscire a …”.
Queste parole, dette in classe, fanno riflettere quanto, a volte, il dialogo interno sia ipercritico, svalutante o perfezionistico: un dialogo interiore che svaluta e commenta in tono critico e crudele le esperienze che si vivono; si parla di quella parte di noi che fa fatica ad abbandonare un modo freddo, distaccato, talvolta anche aggressivo. Infatti, la vergogna che si prova è accompagnata dalla percezione di fallimento della dignità e dalla sensazione del pericolo dell’abbandono affettivo.
Il senso di colpa che ne consegue è attivato dall’angoscia della punizione che ne potrebbe derivare. Con il senso di colpa, si mette in discussione il “cosa ho fatto”, mentre la vergogna ci mette in contatto con il “come siamo”, e questo mina la consapevolezza delle proprie capacità e l’integrità del Sé.
Si nota con interesse che uno dei maggiori ostacoli, che impediscono agli studenti di superare la propria vergogna, è il senso di vergogna provato dal docente e dal conseguente comportamento evitante per contrastarlo.
A volte i docenti si possono sentire incompetenti, incerti o non abbastanza qualificati: guardano loro stessi attraverso gli occhi di un “Altro” critico o rifiutante che, all’interno del loro mondo interiore delle rappresentazioni mentali, li sta giudicando.
La vergogna è, dunque, un’emozione interpersonale che fa percepire il pericolo anche laddove è del tutto assente: “Se racconto questa mia incapacità, lei si sentirà disgustata da me”. La vergogna può essere lenita attraverso carezze di riconoscimento incondizionate positive[10]  ed evidenze logiche: è necessario fare in modo che esse diventino parte dell’esperienza umana dei docenti e degli e studenti poiché la forza personale è data proprio dal coraggio di essere vulnerabili (Cfr. 2Cor12,7b-10).
Per rispondere alla domanda che apre questo paragrafo, si è esplorato insieme alla classe un pezzetto del mondo della vergogna, attraverso un intervento di questo tipo, rivolto a un allievo prima e poi a tutta classe: “Sento che ci troviamo in un territorio doloroso. Se ti va, potremmo trovare una via per percorrere questa strada che hai percorso nella tua classe in modo sicuro, proprio qui, adesso, nella nostra aula, come abbiamo fatto dinanzi ad altre esperienze dolorose dei tuoi colleghi di corso. Vi va se esploriamo i diversi modi in cui possiamo riuscirci insieme?”.
La vergogna è la profonda paura di essere disconnessi dagli altri; occorre dunque entrare nel sistema lenitivo e calmante che è connesso alla propria esperienza di attaccamento e di accudimento; i segnali ai quali questo sistema di regolazione risponde sono l’affetto, la gentilezza, il calore e l’accettazione negli scambi interpersonali.
Questo contesto di apprendimento interattivo e collaborativo, che rispetta le diversità, incoraggia la flessibilità di pensiero e lo sviluppo delle competenze sociali, inoltre ha permesso agli studenti di accettare la propria vulnerabilità e fallibilità con un atteggiamento compassionevole.[11]
“Come” e “cosa” viene appreso sono perciò influenzati da emozioni, credenze, interessi e stati della mente che possono favorire o interferire con la qualità del pensiero e la capacità di elaborare e archiviare le informazioni. È ormai da tempo dimostrato, infatti, che i fattori motivazionali ed emotivi impattano non solo sulla memorizzazione dei contenuti ma anche sulla disponibilità di continuare ad apprenderli nel tempo. L’emozione della curiosità e il pensiero creativo contribuiscono allo sviluppo della motivazione intrinseca ad apprendere che deve essere stimolata da compiti che possiedono un buon mix di novità e difficoltà, che contengono opportunità di scelta e sono considerati dagli studenti rilevanti rispetto ai propri interessi personali.
Si possono così creare le condizioni per allenare l’abilità di “mettersi nei panni degli altri” e di pensare e sentire pensieri ed emozioni in modo riflessivo, promuovendo sia lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale, sia la propria auto-efficacia e un senso di autostima. Quindi, per i futuri insegnanti di religione cattolica e per gli operatori pastorali, risulta fondamentale tener presente che è la significatività della relazione che definisce la competenza esplorativa, il senso stabile del sé, l’adattamento e l’autoregolazione. Questi futuri docenti potranno essere, a loro volta, un “differenziale di sviluppo” [12] per i propri allievi poiché, in ogni istante della loro relazione educativa, possono lasciare un segno (e insegnare significa proprio questo!) in una persona che sta costruendo non soltanto un bagaglio di nozioni e procedure, ma il proprio sé, le proprie intelligenze multiple,[13] la struttura del suo pensiero, l’organizzazione del suo sentire e la percezione del proprio talento.

2. Maschere/sicurezza psicologica

Quando gli studenti arrivano in classe il primo giorno di un nuovo corso, le prime informazioni che inconsapevolmente cercano sono: “Mi trovo in un ambiente fisico e relazionale sicuro? Questa Prof. è un’insegnante di cui mi posso fidare? È sicura questa connessione?”.
Nel sistema nervoso autonomo (SNA) convivono due esperienze principali che a volte coincidono, mentre altre volte sono in conflitto tra di loro: il desiderio di connessione e l’impulso alla sopravvivenza. Il SNA si modella tutta la vita sulle relazioni e sugli scambi di segnali di sicurezza e di pericolo, perciò i docenti debbono essere consapevoli che i segnali che trasmettono possono co-regolare e dare origine a possibilità inedite, altrimenti si possono aumentare la reattività, o il ritiro, o l’impotenza, rafforzando pattern automatici di sopravvivenza.
Alla prima lezione di presentazione di un corso, uno studente chiede: “Prof ma Lei è proprio sicura di quello che sta dicendo? All’esame farà davvero così?”, un altro alza la mano e dice: “Io sul programma del corso non sono d’accordo e neanche mi interessa…. Spero che Lei riesca a farmelo piacere…!!!!”.
Soprattutto i primi tempi in cui si sta in aula con un nuovo gruppo-classe è importante essere consapevoli che gli studenti mettono sul viso del docente una maschera formata da tutte le esperienze, consce ed inconsce, che hanno avuto fino a quel momento, con tutto quello che hanno sperimentato che “un insegnante è”; non sono “davvero” in aula con il nuovo docente, non lo conoscono e non sanno chi sia e come insegna. Mostrano però, inconsapevolmente, che storia hanno avuto con quella figura autorevole che oggi quel docente sconosciuto rappresenta per loro.
Per comprendere che tipo di maschera mettono al docente, la teoria Polivagale[14] fornisce un modello per riconoscere il funzionamento del SNA: le storie che riguardano il Sé, le relazioni e l’ambiente si originano proprio qui. È, infatti, lo stato autonomico che crea la storia, poiché il sistema nervoso autonomo scannerizza costantemente l’ambiente fisico e relazionale.
La neurocezione comporta cambiamenti di stato autonomico di emozioni, comportamenti e narrazioni delle nostre storie relazionali. Quando il SNA si è modellato con un attaccamento insicuro[15]  le risposte automatiche sono solitamente insufficienti o eccessive per ottenere una regolazione efficace rispetto allo stimolo nel qui e ora e così, la neurocezione si attiva rispondendo ad uno stimolo legato ad un passato ricordo.
Per tutti questi motivi, è utile che il docente focalizzi l’attenzione sull’emissione di segnali di sicurezza attraverso il viso disteso ed un respiro adeguato a quello che sente, una voce calda e una prosodia calma e vitale, un contatto oculare rispettoso, non invadente né sfuggente ma delicato, una postura del corpo aperta che indichi di voler accettare e ricevere l’altro, creando un ambiente relazionale in grado di facilitare la crescita della persona e del gruppo, stimolando l’attivazione del sistema ventro-vagale, ovvero, il sistema di ingaggio sociale.
Questa modalità di essere presente, che mette l’accento sull’esistenza di un forte legame tra il SNA ed il comportamento, oltre a promuovere un ambiente sicuro, facilita la connessione e lo sviluppo di inediti percorsi neurali nel cervello del singolo e in quello collettivo; è proprio questa “uscita di sicurezza neuronale” che concorre a riparare i danni provenienti da esperienze traumatiche e che permette inter-connessioni positive, basilari per la crescita neurale singola e gruppale.
In presenza di eventi traumatici[16] come la trascuratezza anche emotiva, il bullismo e il maltrattamento, i sistemi del cervello sociale[17] si sono modellati per la difesa o per la minaccia di vita, invece di essere utilizzati per scambiare affetto e vicinanza, come si evince dalle domande che sono state rivolte dagli studenti la prima volta che hanno visto in aula la nuova docente. I neuroni specchio[18]  e gli schemi di attaccamento, invece di supportare l’interconnessione, vengono plasmati per preparare il corpo a sentirsi continuamente allerta,[19] pronti all’attacco e/o alla fuga, oppure passivi e ritirati dal contesto.
La sensazione di sicurezza che gli studenti provano permette loro di accedere a sentimenti, pensieri, bisogni e significati, esplorandoli e condividendoli con il docente e con il gruppo. Ciò consente a questi contenuti interni di essere trasformati in modo adeguato e fecondo. Questa sintonizzazione relazionale che viene chiamata “accoppiamento cervello-cervello”[20] tra il docente e il gruppo è generata da tre passaggi: un’intraconnessione del docente con sé stesso, un’interconnessione tra il docente e il gruppo classe e, infine, la sensazione del singolo studente di essere al sicuro, in un ambiente relazionale calmo e confortevole che gli permette di stare in contatto con i propri vissuti e con quelli che gli vengono confidenzialmente raccontati dai colleghi. In questo modo il docente può promuovere una vera e incarnata sicurezza psicologica, modellando efficacemente il processo di apprendimento/insegnamento.

Conclusione

Questo tipo di modalità relazionale docente/studente favorisce sia gli apprendimenti contenutistici-esperienziali, sia una forma di modellamento che i discenti potranno utilizzare nei ruoli a cui si stanno preparando nel frequentare questa Facoltà.
Attaccamento sicuro, intimità e apprendimento rendono i nostri cervelli capaci di elaborare grandissime quantità di informazioni sociali e di adattarsi a differenti relazioni: il processo di insegnamento sopra descritto permette, dunque, di condividere profondi processi di connessione, intersoggettività e integrazione. Il nostro cervello, secondo la neurobiologia, “gemma”[21] proprio quando archivia nuove informazioni in risposta alle esperienze positive, formando nuovi rami dendritici per creare intra e interconnessioni mieliniche vergini. Eric Kandel, (premio Nobel per la medicina nel 2000), ha dimostrato difatti che le esperienze di insegnamento-apprendimento mutano l’architettura dei nostri cervelli perché possono attivare geni in grado di modificare la struttura neurale.
Gli studi epigenetici hanno documentato che esiste un influsso reciproco tra le dinamiche biologiche, psicologiche e relazionali che permettono di diminuire l’eredità traumatica del nostro bagaglio genetico, promuovendo un cambiamento strutturale della morfologia cerebrale. Lo sviluppo personale, dunque, va ben oltre a quello che si è depositato nel nostro DNA, ma è frutto delle interconnessioni educative e sociali attraverso meccanismi neurobiologici che si riflettono nel sentimento, nel pensiero e nei comportamenti.
Ogni futura scelta educativa e pastorale degli studenti potrà derivare da una respirata “libertà incarnata”,[22] che sgorgherà dall’integrazione della dimensione fisica, affettiva, cognitiva e spirituale.
La modalità relazionale dei docenti può dunque essere un farmaco epigenetico, poiché è in grado di modificare il substrato disfunzionale dei circuiti neurali: il senso di comunità può costituire una cura per il mal-essere personale e organizzativo (Cole, 2014) poiché è «questo meraviglioso intrecciarsi di neuroni e nuove sinapsi, che provocherà la possibilità di cambiamenti stabili dell’architettura cerebrale e che faciliterà il formarsi di relazioni diverse, più solidali».[23]


[1] Docente di Psicologia alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, Psicologa, Death Educator, Supervisore e Presidente dell’Associazione Doceat.

[2] Cfr. A. N. Schore, Psicoterapia con l’emisfero destro, Raffaello Cortina editore, Milano 2022.

[3] Cfr. J. Kabat-Zinn, Dovunque tu vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza con la mindfulness, Tea, Milano 2010.

 [4] Cfr. L. Ricci, «Il processo di modellizzazione tra trainer e trainees» in www.counselingitalia.com (2013).

[5]  Si rimanda agli studi di G. Lakoff, M.Johnson, 1999; A. Damasio, 1999; A. Chemero, 2009. Cfr. https://ojs.gsdjournal.it/index.php/gsdj/article/view/401 (consultato 1/03/2024).

[6] Cfr. D. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina, Milano 2013

[7] Cfr. Porges cit. in R. Howes, «Wearing your heart on your face. The polyva-gal circuit in the consulting room», in https://www.psychotherapynetworker.org/ (2013) 67- 70 (consultato29/02/2024).

[8]  Cfr. L. Capantini – D. Giovannini – S. Grassi – L. Ricci, «Un insegnamento incarnato. Il contributo delle neuroscienze, tra intersoggettività e forme vitali», in Neopsiche, Rivista di Analisi Transazionale e Scienza Umane, Torino 2012, 65-82.

[9] L. Ricci – L. Vitali, Prendersi cura del cammino sinodale: accompagnare gruppi e comunità all’ombra della pastorale di Papa Francesco, Edizioni Dehoniane, Bologna 2023.

[10] È utile consultare le opere di C. Steiner (1935-2017) «Analisi Transazionale» in Psicoterapia di Gruppo Comprensiva, R. Corsini, ed. Williams e Wilkins, 1971; Diario di analisi transazionale “The Stroke Economy” 1971; Diario di analisi transazionale “Il sogno di un ragazzino” 1971.

[11]  Cfr. P. Gilbert, Dalla ragione allo spirito. La dinamica affettiva del conoscere umano, Editrice Stamen, Roma 2023.

[12] Cfr. L. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Giunti Barbera, Firenze 1976.

[13] Cfr. H. Gardner, L’educazione delle intelligenze multiple, Anabasi, Milano 1995.

[14] Cfr. S.W. Porges, La teoria Polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2014.

[15]  Cfr. M. Ammaniti – V. Gallese, La nascita dell’intersoggettività: lo sviluppo del sé tra psicodinamica e neurobiologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.

[16] Cfr. M. Taylor, Psicoterapia del trauma e pratica clinica. Corpo, neuroscienze e Gestalt, Franco Angeli, Milano 2016.

[17] Cfr. L. Cozolino, Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, Raffaello Cortina editore, Milano 2008.

[18] Cfr. V. Gallese, «Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività», in M. Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Mondadori, Milano 2006.

[19] Cfr. B. van der kolk, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015.

[20] Cfr. Hasson, Ghazanfar, Galantucci, Garrod & Keysers, 2012 cit. in S.W. PORGES, La teoria Polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione, Giovanni Fioriti, Roma 2014.

[21] Cfr. S. Seung, Connettoma. La nuova geografia della mente, Edizioni Codice, Torino 2012.

[22] T. Fuchs, Il corpo vivo nel mondo, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2021.

[23] Cfr. D. Giovannini – S. Grassi – M. E. Paramento – L. Ricci «“Un’altra visione e Consilienza”: le basi neurobiologiche per educare» in Parola e Tempo, XVI volume, ISSR (2021), 325-338.