Enrico Giuranno[1]
Abstract
Quello fra il cristianesimo e il teatro è stato un rapporto difficile e controverso: dall’iniziale condanna inappellabile dei padri della Chiesa, che lo consideravano un retaggio del paganesimo, alla riscoperta in ambito liturgico nel medioevo, fino alle rivoluzioni teatrali del 900. Dopo il Vaticano II sono fioriti in tutto il mondo diversi metodi che tramite le tecniche teatrali hanno aperto alla scoperta delle profondità della Scrittura. Un laboratorio teatrale, in una classe V del liceo artistico Toschi di Parma, ha provato a sperimentare un approccio “non convenzionale” al testo biblico con una riflessione sulla fraternità ferita a partire dall’affascinante racconto di Giuda e Tamar (Gen. 38) all’interno del grande Romanzo di Giuseppe.
1. I cristiani e il teatro: tutt’altro che un amore a prima vista
Il teatro in Occidente nasce in un contesto religioso e forse proprio a causa di un rapporto tanto stretto coi culti pagani, il cristianesimo sembra strutturarsi da subito in netta opposizione ad esso, visto spesso come osceno retaggio del passato idolatra, soprattutto in epoca classica e medioevale. Nel 400 d.C. Agostino d’Ippona, descrivendo più il suo desiderio di pagano convertito al cristianesimo che la realtà storica del suo tempo, scriveva, ribadendo la condanna del teatro come luogo del demonio: «In quasi tutte le città cadono i teatri […] cadono i fori e le mura entro cui si onoravano i demoni».[2]
Duecentosettanta erano gli edifici adibiti allo spettacolo, nella sola parte europea del tardo impero romano (centotrentasei nella sola Italia),[3] un dato che da solo dice l’importanza attribuita dai romani allo spettacolo e il favore che trovava tra i suoi vari governanti. Già nel 197, Tertulliano, nel suo trattato Gli spettacoli,[4] dopo aver ricordato ai cristiani le promesse battesimali aveva, per la prima volta, illustrato l’origine pagana dei diversi generi di spettacolo. Benché fosse la posizione di un intellettuale esponente di una ancor piccola minoranza perseguitata, quella di Tertulliano è una testimonianza importante, perché anticipa e fonda la posizione che i Padri della Chiesa sposeranno successivamente, affermando l’incompatibilità fra spettacolo pagano e fede cristiana.
Un rapporto complicato, in entrambe le direzioni: in tempi di persecuzione religiosa contro i cristiani, i mimi rappresentarono spesso, parodiandoli, i modi di vita e i riti della «setta» posta ai margini della società che, proprio per questo, ben si prestava alla pubblica irrisione. Sono, però, anche ben noti i casi di due mimi, che si erano misteriosamente convertiti e avevano accettato il martirio pur di non rinnegare la nuova fede: Filemone in Egitto nel 287 e Genesio nel 303 alla corte di Diocleziano, assunti poi come santi protettori del mondo teatrale e dello spettacolo.
Nel 313, con l’editto di Milano, cessarono le persecuzioni e nel 380, con quello di Teodosio, la fede cristiana divenne religione di Stato, ma ciò non intaccò la voglia dei sudditi di assistere agli spettacoli che continuarono anche sotto le invasioni barbariche e dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente sotto i regni romano barbarici. L’era di questi grandi spettacoli finì in Italia con la conquista bizantina del Regno gotico ma, nonostante il crescente controllo delle autorità ecclesiastiche, le condizioni degli attori migliorarono inaspettatamente anche grazie al matrimonio fra l’imperatore Giustiniano e la celebre mima Teodora, che facilitò riconoscimenti giuridici per gli attori, compreso il diritto matrimoniale.
Durante l’epoca carolingia fu il monaco Alcuino, responsabile del rinnovamento culturale dell’impero, a farsi ancora una volta paladino della moralità cristiana contro attori e musici, che nonostante i rinnovati divieti riuscirono a trovare anche alla corte del Sacro Romano Imperatore non pochi nuovi protettori. Un noto «mimo conviviale», attribuito ad un dotto religioso del IV secolo, la Cena Cypriani [5] – ripresa nell’855 da Rabano Mauro -, è un curioso racconto di una cena impossibile, allestita dal Re Gioele a Cana di Galilea e a cui sono invitati molti personaggi del Primo e del Nuovo Testamento che, trovandosi fianco a fianco, avviano una serie situazioni forse assurde, ma dall’alto valore simbolico. Fra il IX e il X secolo nacque in ambito liturgico l’embrione del dramma religioso: arricchendo di varianti l’Ufficio liturgico, inserendo domande e personaggi alle consuete antifone gregoriane, ci si ritrovò con singoli cantori, usciti dai loro stalli che si dirigevano verso l’altare.
Come era accaduto altre volte nella storia dell’umanità, il rito celebrativo della Passione-Morte-Resurrezione di un Dio, o di un eroe divinizzato, dapprima epicamente narrato da un coro, si articola in episodi eseguiti da membri del coro che, sempre più vivamente, col passare del tempo, assumono i caratteri dei personaggi di cui cantano le parole, fino ad immedesimarsi, come «attori», perfettamente in loro. Nella Liturgia dell’Ufficio notturno della Pasqua, i tre cantori che uscivano dal coro, venivano dunque a impersonare le Marie che, muovendosi verso un altare, che assumeva il significato di «sepolcro», dialogavano cantando, infine, con un altro di loro che stava a impersonare l’angelo.[6]
Entro qualche decennio si giunse ad un Ufficio drammatico, la Visitatio Sepulchri, strutturata come un breve dramma a quattro personaggi (l’angelo e le tre donne). Le donne, appresa la notizia della Resurrezione, la comunicano al coro, che assume così il ruolo della comunità dei discepoli nel cenacolo. Il processo di arricchimento è ormai inarrestabile. Presto si aggiungeranno nuovi personaggi e nuovi ambienti significativi: nell’XI secolo si inserirà nella Visitatio Sepulchri anche la sequenza Victimae paschali laudes che dopo i primi due versi è un dialogo fra la Maddalena e i discepoli. Il testo si estenderà fino a coprire l’intera Passione, dal processo alla Crocifissione, e si aggiungerà anche il Planctus Mariae.
La funzionalità pedagogica, che permetteva agli analfabeti di capire con questi espedienti, gli eventi fondanti la fede, fu certamente la principale ragione che permise la diffusione e il rapido sviluppo dell’Ufficio drammatico pasquale, ormai divenuto grande dramma corale nelle chiese d’Europa. Tra il XII e il XIII secolo i monasteri benedettini si confermarono come centri culturali che per primi sperimentavano il nuovo volgare poetico come testimonia il Ritmo cassinese in veste giullaresca e con intenzione divulgativa d’una morale mistica. Fu poi la volta di Jacopone da Todi (1236-1306) frate minore, autore del dramma corale della Madre ai piedi della croce.
Nel 1300 si registrò, nei maggiori Paesi d’Europa, un notevole incremento della produzione drammatica, specie di quella a carattere religioso, anche grazie ad un mutato atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nei confronti delle rappresentazioni. Nel 1264 Papa Urbano IV istituì la festa del Corpus Domini, in occasione della nuova festa, nelle città più ricche e popolose d’Inghilterra si rappresentavano i Miracle plays, spettacoli promossi dal clero, ma anche dalle corporazioni di arti e mestieri.
Nel corso del Trecento le Passioni e i Misteri sceneggiavano ancora la vicenda di Cristo mescolando devozione, realismo ed elementi romanzeschi.
Nel quattrocento, autori colti daranno vita ad una vera e propria Bibbia sceneggiata, con centinaia di personaggi, e rappresentazioni spettacolari della durata di almeno quattro giornate.
Nella seconda metà del Quattrocento, gli spettatori accorrono ad assistere a spettacoli sempre più grandiosi, con scene suggestive e costumi ricercati e a volte bizzarri. Si escogitano macchine sceniche per effetti sorprendenti e anche un genio come Leonardo da Vinci si cimenterà nella realizzazione di imponenti scenografie per il teatro.
Dall’inappellabile condanna di Tertulliano alla rinascita in ambito liturgico, il teatro percorre quasi un cammino di conversione che lo cristianizza e lo trasforma da manifestazione demoniaca a strumento dell’evangelizzazione popolare. Una rinascita e una cristianizzazione che nascono e restano a lungo ancorate al testo biblico, che per la sua natura narrativa, si presta alla drammatizzazione.
2. Il teatro e la Scrittura oggi
Per comprendere lo stato dell’arte del rapporto fra Teatro e Bibbia oggi, in Italia, è però necessario tener conto degli sviluppi che il Teatro ha conosciuto nel corso del XX secolo e le sue relazioni con la psicoanalisi e l’ambito terapeutico: Stanislavskij, Grotowski ed Eugenio Barba, ma anche lo Psicodramma di Jacob Levi Moreno, o la Drammaterapia, il Teatro dell’oppresso di Augusto Boal, il teatro sociale o il teatro d’improvvisazione. A partire da queste rivoluzioni che hanno interessato il teatro nell’ultimo secolo, sono fioriti anche in Italia, diversi esperimenti che hanno voluto coniugare le dinamiche terapeutiche del teatro con la forza della Parola biblica. Alcuni di questi metodi hanno sviluppato negli anni delle vere e proprie scuole di formazione e hanno pubblicato dei testi e dei manuali, che permettono di cristallizzarne e indicarne almeno alcuni punti principali, affinché l’esperienza possa essere ripetibile altrove con la medesima efficacia. Altri, sono rimasti nell’ambito delle singole esperienze laboratoriali, e non hanno ancora ricevuto piena attenzione, rimanendo relegati in ambiti più locali e circoscritti. Molti di questi diversi metodi, già esaminati da Alessandro Zavattini nella sua ricerca,[7] hanno un’impostazione evocativa, ludica e favoriscono l’incontro fra i giovani e il messaggio biblico anche e soprattutto attraverso la narrazione[8] e la drammatizzazione.
La Bibbia come narrazione è aspetto ampiamente indagato dall’esegesi biblica degli ultimi decenni, che ha sviluppato un approccio narrativo e narratologico ai testi. Molti dei metodi più o meno diffusi oggi in Italia, fanno riferimento a questa dimensione narrativa del testo e sviluppano una serie di azioni che dal testo partono per coinvolgere il pubblico nella storia narrata e nella vita dei vari personaggi. Esiste inoltre più di un legame fra la Scrittura e la drammatizzazione. Anzitutto non si può non tener conto che nella lingua in cui sono scritti la maggior parte dei testi biblici, l’ebraico, il termine דָּבָר (davàr) utilizzato per indicare la parola, indica anche il fatto, l’azione.
La Parola di Dio chiede quindi di essere attivata, agita, non solo detta, questo ne fa una parola drammatica. La parola di Dio è anche parola attuale: non è detta e agita solo all’epoca in cui i fatti sono avvenuti, ma pretende di dire e fare qualcosa anche oggi, nel momento in cui l’uditore la incontra, hic et nunc. Un altro aspetto che collega la Sacra Scrittura alla drammatizzazione è la dimensione comunitaria, di gruppo, di entrambe le realtà.
La Bibbia, a differenza di un romanzo o un saggio, non nasce dalla mente di un singolo autore, ma si sviluppa e trova una definitiva redazione all’interno di una comunità: è scritta per una comunità ed è sempre una comunità, e mai un singolo, che la accoglie e ne ricerca le corrette interpretazioni. Molti testi biblici riprendono le fasi e lo stile della drammatizzazione: si pensi alle azioni compiute dai profeti, o alla letteratura sapienziale o in modo specialissimo al genere letterario della parabola (quelle raccontate da Gesù nei Vangeli o quelle che si possono trovare nel Primo Testamento).[9]
Le parabole partono sempre da una situazione iniziale di conflitto, raccontano una vicenda di personaggi fittizi su cui si chiede spesso l’intervento, l’opinione, la parola–azione dell’uditorio invitato a partecipare in una sorta di semi-realtà. Anche le parabole, infine, invitano ad una risonanza, personale e comunitaria che possa incidere sui comportamenti e sulla vita.
Il teatro è uno strumento di formazione attiva molto usato, che sull’esempio di Jacob Levi Moreno, attinge da dinamiche teatrali fondendole con aspetti formativi e terapeutici. Al di là delle specificità dei diversi metodi biblici attivi che ricorrono al role play, possiamo individuare in tutti tre momenti essenziali che lo caratterizzano:
- 1. il warm up o riscaldamento, in cui il gruppo si attiva ed i partecipanti si aprono gli uni agli altri stimolando il terreno umano su diversi linguaggi (razionali e non, verbali e non) in vista dell’incontro con la Parola;
- 2. le fasi centrali del lavoro; dopo aver letto o raccontato il brano biblico su cui si intende lavorare, con modalità e tecniche specifiche di ogni metodo si inizia a promuovere l’azione (drammatica o ludica) dei partecipanti. Si ricerca il rapporto, l’incontro coi personaggi narrati in un ambiente detto «semi-realtà», provando a coinvolgere l’intera persona in profondità, partendo dagli stati emozionali, immaginativi e anche necessariamente fisici e simbolici.
- 3 L’ ultimo passaggio che accomuna i vari metodi è la risonanza che il gruppo condivide una volta fuori dalla «semi-realtà» drammatica in cui è stato immerso. La risonanza è il passaggio che permette di esplicitare l’impatto che la storia narrata (e interpretata) ha o potrebbe avere sulle vite e sulle storie personali e sulla coscienza del gruppo.
Fra questi metodi, sempre più diffuso è il Bibliodramma, nato negli anni immediatamente successivi al Vaticano II, quando formatori e ricercatori di tutto il mondo, a partire dalla Germania e dagli USA, hanno sviluppato metodologie comuni. Uno di questi metodi che si è consolidato e continua a diffondersi in Italia è dovuto al bresciano Giovanni Brichetti che dal 2010, con l’Associazione italiana di Bibliodramma (AIB), ha sviluppato una scuola di formazione e una serie di pubblicazioni raccolte in Incontri esperienziali con la parola di Dio.[10]
Il Bibliodramma consente di vivere un brano biblico dall’interno, mettendosi cioè nei panni e provando in prima persona gli stessi sentimenti di uno o più personaggi, oppure dall’esterno, osservando da vicino il brano interpretato da altri o simbolizzato con qualche specifico oggetto. Questo particolare approccio metodologico creativo può contribuire a sostenere un percorso psico-spirituale dei singoli e in ogni caso aiuta nell’incontro autentico e profondo con le altre persone del gruppo. Cuore metodologico del Bibliodramma è l’esperienza corporea ed emotiva della salvezza che richiama i gesti ricchi di significato che accompagnano tutta la storia della salvezza e in particolare l’esperienza terrena di Gesù di Nazareth che per i cristiani è Dio fatto carne.
Lo Psicodramma classico adattato all’approccio dei giovani con la Scrittura: da questa intuizione del gesuita Beppe Bertagna e da una pluridecennale sperimentazione nasce una vera e propria scuola di Psicodramma biblico. Secondo il suo inventore lo Psicodramma biblico può intendersi a tutti gli effetti come strumento per una comprensione profonda del Testo sacro che può davvero incidere sulla vita di chi ci si affianca.
Lo Psicodramma biblico attiva un processo di identificazione con i personaggi biblici e con la dinamica salvifica di cui essi sono stati protagonisti. Coloro che partecipano ad un gruppo di Psicodramma biblico sono condotti nel “là ed allora” di quegli eventi così da sperimentare come rivolti a sé stessi le parole ed i gesti che quei personaggi hanno vissuto.[11]
La scoperta da parte del gruppo che quelli biblici sono personaggi umani a tutti gli effetti, permette di sentirli profondamente vicini e comprendere come siano dotati di una forza e di una libertà loro proprie, che non li vincola ad agire necessariamente in un determinato modo, ma li mette davanti a delle scelte e alle loro conseguenze, come avviene per ogni altro uomo. Nel testo biblico affrontato si individua un itinerario a tappe, snodi cruciali per la vita e la felicità dei personaggi in scena. Il conduttore, aiutati gli attori ad entrare nel proprio ruolo, li lascia liberi di operare nella scena e non si preoccupa di indurli a fare o a dire quanto è narrato nel testo. Può comunque, in forza della conoscenza approfondita che possiede del testo, operare degli stop di scena in modo da aiutare i personaggi a restare all’interno del proprio ruolo, introducendo nuovi elementi conoscitivi o che aiutino i personaggi a cogliere la posta in gioco effettiva di ciò che sta avvenendo sulla scena.
Anche in questo metodo la conclusione avviene raccogliendo gli echi nel sentire del gruppo di quel che è avvenuto in scena e si prova a far dialogare la finzione scenica, il testo biblico con la vita reale dei singoli membri.
3. La proposta di un laboratorio di teatro biblico a scuola
Allo scopo di far crescere la conoscenza e la diffusione di questi metodi che coniugano Bibbia e vita attraverso lo strumento del teatro, è nata a Parma una collaborazione fra il Centro Ignaziano di spiritualità «Carlo Maria Martini» e il Servizio per l’Apostolato Biblico (SAB) che ha organizzato laboratori di Psicodramma Biblico e Bibliodramma aperti a tutti.
Proprio partendo dall’esperienza di questi laboratori, si è pensato di proporre ad una classe V indirizzo Teatro del Liceo artistico “Toschi” di Parma, un percorso che proprio tramite il teatro potesse far incontrare il testo biblico con la vita dei ragazzi. La storia scelta come tema per il laboratorio proposto agli studenti è una storia di fraternità ferita e riconciliata grazie a volti nascosti e a volti svelati nel momento opportuno.
Sia la grande storia di Giuseppe[12] che la piccola storia di Giuda e Tamar[13] sono storie che culminano con uno svelamento, un riconoscimento (l’ἀναγνώρισις greco). Il volto di Tamar prima velato, è svelato nel momento culminante del racconto, quando Giuda è chiamato a riconoscerla, a riconoscerne il diritto e a riconoscere la propria colpa. Il volto di Giuseppe, prima negato dai fratelli e poi celato dietro la maschera del Gran vizir d’Egitto, è svelato ai fratelli riconciliati solo al capitolo XLV.
Nel proporla, si è partiti dalla prospettiva dei ragazzi, dalle loro maschere e dai loro volti svelati, giacché questo ha permesso di far affiorare le loro domande e il loro linguaggio ed ha inoltre consentito di rinunciare a tutte quelle premesse e conoscenze che avrebbero potuto appesantire, ritardare o addirittura ostacolare l’incontro reale e profondo con il testo biblico e con i suoi personaggi ricchi di un immaginario divino, carichi di kerygma liberatorio.
Nel laboratorio durato un mese e mezzo per un totale di 6 ore ci si è avvicinati gradualmente al testo biblico, sperimentando diverse tecniche (dalla lettura ad alta voce ai cori, dai quadri di Boal al disegno) fino a concentrarci unicamente sulla situazione di impasse che è al cuore della storia: Giuda non lascia sposare il suo terzo e ultimo figlio con Tamar, la sopravvivenza del clan e la memoria stessa di Giuda sono messe in pericolo dalla paura della morte. Non sembrano esserci soluzioni, fino a che Tamar non escogita un pericoloso trucco che le consentirà di sbloccare la vita e farla rifiorire.
I ragazzi hanno messo in scena il momento dello svelamento, quello in cui Tamar ostaggio della violenza, manda a Giuda i pegni che aveva ricevuto e gli rivela in tal modo che è lui il padre del bambino che porta nel grembo. La scena vede Tamar muta e in piedi, fisicamente bloccata da una sorta di carceriere/prigione che consegna gli oggetti a due ancelle. Le due ragazze portano i pegni a Giuda che seduto su un trono, nel ruolo di pater familias, di giudice severo, li accoglie e riconosce il proprio errore.
Pur nella sua semplicità ed essenzialità la scena appare carica di pathos, si percepisce la tensione del momento e il carico emotivo dei personaggi in gioco. La disposizione simmetrica dei personaggi, e i loro gesti estremamente cadenzati e lenti, fanno della performance una sorta di danza che dilata il tempo dello svelamento.
Finita la presentazione, sono state proposte ai ragazzi alcune domande per la riflessione. A destare maggiormente l’attenzione è stata la più personale, quella legata ai propri impasse. Naturalmente, non tutti i ragazzi hanno espresso la loro opinione, ma sono comunque emersi spunti interessanti: come le lotte fra fratelli siano qualcosa di quotidiano che riguarda ogni famiglia e in definitiva anche la famiglia umana, o anche come sia spesso facile ed immediato riconoscere gli errori degli altri e meno i propri.
Una ragazza ha voluto sottolineare come spesso riusciamo a riconoscere gli sbagli e gli errori altrui che però già conosciamo «perché fanno parte di noi, perché riusciamo a percepire gli altri per come siamo noi». Difficilmente le persone si rendono conto dei propri errori, ma Giuda è in grado di farlo, si dimostra davvero adulto in quella circostanza. Qualcuno, forse senza conoscerne la provenienza, cita il motto evangelico «togli prima la trave che è nel tuo occhio, allora potrai togliere la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello».[14]
[1] Insegna religione a Parma ai ragazzi del Liceo Classico e Linguistico “Romagnosi” e dell’Istituto “Bocchialini”. Laureato in Filosofia e in Scienze religiose. L’articolo è stato elaborato a partire dalla tesi Magistrale discussa all’ISSRE di Modena.
[2] Agostino, De Consensu evangeliorum, I, 35.
[3] F. Doglio, Teatro in Europa, Storia e documenti, Garzanti, Milano, 1982, 21.
[4] Tertulliano, De Spectaculis, 10, trad. di E. Castorina, Nova Italia, Firenze, 1961.
[5] Doglio, Teatro in Europa, cit., 72.
[6] Ivi, 80.
[7] A. Zavattini, La Bibbia e i giovani increduli. Evangelizzazione ludica con le parabole come Role Play, UPS, Roma, a.a. 2016-17.
[8] Id., Giovani e Bibbia “Narrativa”, Metodi attivi e interattivi per l’incontro con la parola di Dio, Messaggero di Sant’Antonio Editrice, Padova, 2020, 35.
[9] 2 Sam. 12, 1-4; Gdc 9,8-15; Is 5,1-7.
[10] A.I.B., Incontri esperienziali con la parola di Dio. Modalità e strumenti espressivi: l’approccio metodologico del Bibliodramma, c.i.p. Padenghe sul Garda, 2016.
[11] G. Bertagna, Lo psicodramma biblico, relazione tenuta presso il seminario dell’Apostolato Biblico, I metodi Cosiddetti «narrativi», 6 maggio 2019, in http://catechistico.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/11/2019/05/06/Giuseppe-BERTAGNA
[12] Gen. XXXVII-L.
[13] Gen. XXXVIII.
[14] Lc. 6, 42.