Clio Griso[1]
Abstract
Le esperienze che si vivono all’aperto, a diretto contatto con gli elementi che ci circondano, producono benefici a livello fisico, emotivo ma anche cognitivo. L’ambiente, sia esso naturale o antropico, stimola motivazione ed interesse ad apprendere. L’insegnamento della religione cattolica, appoggiandosi al territorio e alla comunità, alla natura come alle strutture urbane, può offrire l’occasione di aprirsi alla meraviglia, all’idea di dono e alla responsabilità di prendersi cura che il dono stesso porta con sé. Dopo una prima parte di inquadramento storico e scientifico sull’outodoor education si intende fornire degli spunti pratici per progettare attività strutturate di IRC.
Introduzione
Nelle Indicazioni nazionali per il primo ciclo si legge: «L’orizzonte territoriale della scuola si allarga. Ogni specifico territorio possiede legami con le varie aree del mondo e con ciò stesso costituisce un microcosmo che su scala locale riproduce opportunità, interazioni, tensioni, convivenze globali».[2]
Queste affermazioni confermano come la scuola oggi debba necessariamente restare in connessione con l’ambiente in cui si trova: è inevitabilmente chiamata ad aprire le sue porte, ad essere una scuola che si collega alla vita del territorio.
Non è più possibile immaginare e pensare alla scuola come ad uno spazio “altro” separato dalla quotidianità e dalla vita esterna, adibita ad un mero passaggio prescrittivo e lineare delle conoscenze. Oggi lavoriamo per costruire un’idea di cultura comunitaria, condivisa, plurale, non elitaria. Per fare questo è necessario collegare la scuola alla realtà nella quale, anche fisicamente, è inserita, cercando di costruire ponti verso cultura e società. Nasce così la scuola dell’esplorazione, della comprensione, dell’interrogazione e della ricerca, vicina al mondo e alla quotidianità.
La richiesta che oggi viene fatta alla scuola è quella di costruire un curricolo aderente alla vita. Il fine ultimo è di portare gli alunni a maturare un sentimento condiviso di cura nei confronti di un ambiente che si deve sentire proprio, per poter così esercitare in modo proficuo la propria cittadinanza attiva.
Potremmo quasi pensare che questo sia un pensiero nato e sviluppatosi grazie ai più recenti studi di pedagogia; ma ad un’analisi più attenta ci rendiamo conto come tali intuizioni nascano soprattutto grazie al felice e proficuo connubio fra gli studi in campo pedagogico e delle neuroscienze. Tuttavia, è nel passato che, come spesso accade, troviamo le radici di queste più moderne intuizioni. Facendo qualche piccolo passo indietro, nella storia della pedagogia, possiamo scoprire che Giuseppina Pizzigoni scriveva, già nel 1961:
Il mio pensiero pedagogico? […] è necessario allargare il nostro concetto di scuola fino a sentire che scuola è il mondo. è necessario convincersi che ogni cosa, ogni fatto, ogni uomo che venga a contatto con il bambino gli è maestro. è necessario che il maestro di classe veda il suo compito preciso nel procurare questi sani contatti, affinché da essi derivi quel fatto di Suprema bellezza che è l’educazione. è necessario sostituire al verbalismo scolastico l’esperienza personale del ragazzo, quale mezzo di apprendimento.[3]
Non possiamo poi, non citare le innovazioni nate nella scuola di Barbiana dove mancavano cattedra e banchi e dove il maestro don Milani, chiedeva la lettura del quotidiano per almeno due ore al giorno, dove il programma della giornata veniva deciso in base alle esigenze contingenti e dove l’aula era aperta, un tutt’uno con l’esterno. Ma soprattutto la scuola di Barbiana salvava gli alunni, nessuno si sentiva inadatto e obbligato a iniziare un lavoro prematuramente: era la scuola costruita sulle reali necessità dei ragazzi, che partiva dalle loro domande per trasmettere saperi vivi e autentici.
In questo panorama storico e culturale si inserisce l’Outdoor Education (OE), che non è semplicemente fare lezione fuori dall’aula, ma mette in pratica una metodologia che si discosta completamente dalla didattica tradizionale. L’OE raccoglie al suo interno una «grande varietà di esperienze pedagogiche impostate sulle caratteristiche del territorio e del contesto sociale e culturale in cui la scuola è collocata».[4]
1. Un po’ di storia
L’idea di un’educazione all’aperto ha radici molto antiche, possiamo risalire fino ad Aristotele e Platone per ritrovarne le origini più lontane.
Sarà poi il pensiero dei filosofi Locke e Rousseau a cavallo tra il XVI e il XVII secolo a individuare le linee di sviluppo dell’OE. Locke metterà in evidenza come lo sviluppo armonico della personalità sia strettamente legato alle attività aperte da considerarsi strumenti di conoscenza fin dalle prime fasi di vita del bambino. Rousseau con il suo Emilio propone l’idea che l’educazione non può essere scissa dalla natura.
Le esperienze pedagogiche anticipatrici di Comenio, Pestalozzi, Froebel, McMillan e Frohm aiuteranno a fornire un contributo alla connotazione di ciò che oggi chiamiamo OE. Comenio a metà del 600 propone il metodo della visione diretta basato sull’idea che sia necessario osservare il mondo con i propri occhi prima di affidarsi esclusivamente alla lettura dei testi: mette al centro del processo di conoscenza lo studente auspicando una sua partecipazione attiva. Pestalozzi vede nell’ambiente naturale un luogo privilegiato di ricerca e quindi conoscenza. Frobel, allievo di Pestalozzi, fonderà il primo kindergarten in cui gioco e natura sono protagonisti nella crescita dei bambini. Egli evidenzia, inoltre, la necessaria relazione tra attività indoor ed outdoor. Mc Millan, a Londra, fonda la prima “open air Nursery school”, struttura per figli di operai, nata con l’intento di offrire ai bambini un ambiente salutare in cui imparare grazie all’esperienza sensoriale. In ultimo Frohm fonda la Skogsmulle School (prenderà il nome da un personaggio di fantasia abitante dei boschi), inaugura così la tradizione svedese delle scuole in natura.[5]
A questo punto si propone una piccola riflessione, basata sulle osservazioni di Bortolotti nel suo contributo “Questioni culturali e metodologiche attorno all’educazione scolastica all’aperto”. Bortolotti approfondisce la tematica del valore sociale della vita all’aria aperta. L’autore presentando alcune esperienze significative del Nord Europa mette in evidenza come il modo in cui entriamo in rapporto con il territorio e il paesaggio è fondamentale per identificare i modi in cui tale territorio viene utilizzato. Appare in conclusione una sorta di paradosso: l’OE si è sviluppata soprattutto laddove le condizioni esterne sono più difficoltose. Il paradosso è però solo apparente in quanto la conoscenza risulta strettamente legata al superamento delle problematiche e delle difficoltà quindi:
«l’affrontare e il superare tali situazioni difficoltose ha di conseguenza consentito di provare, studiare e definire l’impegno, gli sforzi, gli investimenti, permettendo di acquisire competenze specifiche e di elaborare un corpus di teorie e programmi affascinanti».[6]
2. I vantaggi dell’educazione all’aperto
L’OE vuole utilizzare lo spazio esterno come ambiente di apprendimento in maniera sistematica e non come eccezione, per rendere meno artificiali gli apprendimenti.
Diversi studi hanno evidenziato i benefici dello stare all’aria aperta, ponendo l’accento sulla necessità per i bambini (ma in realtà per ogni essere umano) di mantenere un certo contatto con la natura. Si può citare a tal proposito la teoria della rigenerazione dell’attenzione dei coniugi Kaplan, secondo la quale il contatto con la natura (inteso anche in maniera minima con la semplice visione di immagini naturali) rende più efficace la concentrazione e l’apprendimento successivi.
Oppure ancora l’ipotesi della biofilia di Kellert e WiIlson in cui si evidenziano una serie di vantaggi a livello psicologico, sociale, fisico ed educativo.[7]
Sono progressivamente e parallelamente aumentati gli studi relativi ai danni provocati dalla mancanza di natura. I medici Louv e Campbell rilevano come nel bambino abituato a vivere nella natura si manifestano numerose potenzialità che restano al contrario silenti in chi non ha questa opportunità. [8]
La natura costringe a risvegliare i sensi e a vivere esperienze primarie e non secondarie come può essere guardare la tv (in cui qualcun’altro agisce per loro), oppure esperienze, si primarie, ma completamente organizzate e progettate da adulti. Già Dewey, agli albori del Novecento, aveva evidenziato la necessità di proporre esperienze piene di difficoltà e non precedentemente preparate dai docenti.
Zavalloni, maestro, dirigente e pedagogista, lancia un’ulteriore sfida; parlando dei suoi “orti di pace” afferma: «Coltivare un orto a scuola significa imparare a rallentare, un’esperienza altamente educativa […] significa soprattutto attenzione ai tempi di attesa, pazienza, maturazione di capacità previsionale. Lavorare la terra aiuta a riflettere sulle storie locali e familiari».[9]
L’OE si pone in un orizzonte di innovazione educativa. Non a caso il movimento “Avanguardie educative” nel suo manifesto individua 7 orizzonti educativi e l’OE riesce a dare una risposta a tutti.[10]
L’OE è caratterizzata da tre principi fondamentali, in parte già citati: la pedagogia dei luoghi, l’apprendimento esperienziale e l’approccio pluridisciplinare.
In quest’ottica possiamo ben comprendere come L’OE possa portare numerosi vantaggi alla didattica. Guardando la natura con occhi diversi e di ricerca permettono di integrare conoscenze e rispetto della natura. Gli alunni, trovandosi a contatto con l’esterno, possono vivere esperienze non programmabili e quindi imparano a misurarsi con l’inatteso e l’imprevedibile. Questo non può che portare a una maggiore cooperazione e coesione del gruppo nel rispetto di ogni diversità. Anche sul piano fisico non si possono che evidenziare gli apporti benefici di un maggiore movimento. In ultimo l’OE permette di relazionarsi con il territorio che viene considerato contenuto e ambiente di apprendimento.
3. Mantenere viva la meraviglia: l’IRC
Le teorie dell’OE hanno alla loro base il sentimento di stupore che è, per i bambini, motore di apprendimento. La natura e l’esterno sono per loro fonte inesauribile di scoperte e di meraviglia, questo grazie alla loro innata predisposizione alla gratitudine.
«La pratica del ringraziamento e quella del dono sono state realizzate in epoche e culture diverse in tutto il mondo fin dall’inizio dell’umanità. Entrambi i processi intensificano i legami relazionali e il senso di appartenenza a tutto ciò che è vivo e naturale intorno a noi».[11]
I bambini di fronte al fenomeno naturale sperimentano la loro sete di ricerca e la loro creatività nel proporre ipotesi e soluzioni. A tal proposito vogliamo rileggere le Indicazioni nazionali per l’insegnamento della religione cattolica. A riguardo del primo ciclo si legge: «L’insegnamento della religione cattolica fa sì che gli alunni riflettano e si interroghino sul senso della loro esperienza per elaborare ed esprimere un progetto di vita, che si integri nel mondo reale in modo dinamico, armonico ed evolutivo». [12]
Risulta evidente come queste poche righe sollecitino a proporre un insegnamento coinvolgente. Riteniamo, infatti, che l’OE possa essere una strada percorribile per raggiungere tale obiettivo grazie alle sue caratteristiche e ai suoi processi fondanti che, mettendo lo stupore al primo posto, permettono a mente e cuori di aprirsi facendo così strada alla meraviglia.
Scriveva Chesterton: «Le scuole e i saggi più ermetici non hanno mai avuto la gravità che alberga negli occhi di un neonato di tre mesi. La sua è la gravità dello stupore di fronte all’universo, e questo stupore non è misticismo, bensì buonsenso trascendente».[13]
Lo stupore, dunque, e la meraviglia, uno sguardo bambino che rimanda evidentemente alle parole di Gesù nel vangelo di Luca (Lc 18, 15-17). Se, anche a scuola, non coltiviamo questo sguardo richiamo di rimanere ciechi all’umano e al divino.
4. Spunti metodologici e didattici.
Ogni territorio ha specifiche caratteristiche storiche, culturali, paesaggistiche e naturali che possono diventare fonte di lavoro in OE. Nella parte che seguirà si propone un percorso effettuato in una classe seconda primaria.
A partire dal tema del giardino gli alunni sono stati portati a riflettere sull’importanza della collaborazione e della capacità di cogliere la bellezza del particolare.
La progettazione interdisciplinare ha interessato IRC e attività alternativa, arte, ma anche geografia, scienze, italiano ed educazione civica.
Attività indoor – È stato presentato ai bambini il testo “il giardino” di B. Ferrero che li ha portati a riflettere sull’importanza della collaborazione, sul ruolo unico e fondamentale che ognuno riveste e sulla cura che possiamo avere nei confronti dell’esterno.
Attività outdoor – Gli alunni accompagnati dalle insegnanti si sono dunque recati in giardino, per un’osservazione diretta del luogo, per lasciarsi meravigliare ed andare alla ricerca di quel particolare, seppur piccolo, che doveva diventare protagonista delle loro opere d’arte e che li avrebbe chiamati ad un’attenzione particolare. Con l’ausilio di un dispositivo fotografico, ogni alunno ha quindi fotografato il particolare che aveva suscitato in lui/lei curiosità, stupore, meraviglia.
Attività indoor – Sono state riportate in classe le osservazioni sia delle emozioni suscitate nel momento di ricerca del particolare, sia relative alla cura dell’ambiente esterno, sia sulle caratteristiche relative alla stagione in corso. Gli alunni hanno realizzato quindi un elaborato grafico a partire da ciò che avevano osservato e fotografato.
L’elaborazione grafica si è tradotta quindi in un lavoro di intreccio in 3D. Gli alunni utilizzando una rete, stoffa e fili hanno riprodotto il disegno che avevano realizzato rientrati in classe. La classe ha quindi costruito una serie di quadrati intrecciati di tessuto che sono stati utilizzati per la realizzazione del presepe all’interno della scuola.
A partire poi dai vari quadrati i bambini hanno creato un racconto condiviso “il tappeto fiorito”.
Nello specifico le lezioni di IRC hanno toccato le tematiche della Creazione e della lode di san Francesco nei confronti della natura (Cantico delle creature).
Obiettivi raggiunti – Il percorso ha consentito di attivare una serie di interessanti riflessioni sulla cura dello spazio comune, anche grazie alla rielaborazione grafico-artistica del particolare.
L’attività è stata finalizzata al raggiungimento di particolari competenze:
- disciplinari in ambito linguistico, scientifico, religioso e artistico
- trasversali: comunicazione nella madrelingua, lavorare in gruppo in modo attivo, comprendere e valorizzare le diversità.
Gli obiettivi specifici dell’attività sono stati:
- sviluppare il senso di osservazione;
- conoscere e interpretare vari generi letterari e artistici.
- utilizzare l’attenzione al particolare e alla diversità per creare storie.
Per l’IRC: scoprire che per la religione cristiana Dio è creatore, riconoscere la natura come dono di Dio da custodire.
La valutazione in itinere ha previsto poi momenti di attività specifiche e di osservazioni sistematiche.
Le strategie didattiche utilizzate sono state varie dal brainstorming, al peer to peer, al cooperative learning.
[1] Docente di IRC nella Scuola Primaria “S. Ferrari” e nella Scuola Primaria “C. Pavese” dell’Istituto Comprensivo 13 di Bologna. Membro del team innovazione dell’IC; referente dell’area digitale del plesso Ferrari.
[5] Cfr. INDIRE, Linee guida per l’implementazione dell’Idea Outdoor education, in Avanguardie Educative, 2021.
[8] Cfr. F. Zuccoli, «Scuola e territorio», in E. Nigris et al, Didattica generale, 2 ed, Pearson, Milano, 2020, 347-350.
[10] Cfr. INDIRE, Il manifesto delle avanguardie educative, in https://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/il-manifesto#oriz4, (25/01/2024).
[13] G. K. Chesterton, L’imputato, Lindau, Torino 2011, 113.