Al momento stai visualizzando Dalla DAD alla didattica digitale. Tre “indicazioni di viaggio” per insegnare religione cattolica ai nativi digitali

Emmanuele Magli[1]

Abstract

La rivoluzione digitale ha profondamente trasformato la società in cui viviamo, e rappresenta oggi un’importante sfida e opportunità per il mondo della didattica. Partendo dall’esperienza della DAD, soluzione emergenziale temporanea e tutt’altro che perfetta, in questo articolo vengono proposte tre indicazioni per un utilizzo consapevole e vivificante di queste risorse digitali all’interno dell’insegnamento, in particolare IRC. Tre suggerimenti per poter mettere in atto una didattica digitale in grado di rendere l’apprendimento più efficace, coinvolgente e personalizzato, che valorizzi le nuove tecnologie senza dimenticare la dimensione relazionale dell’insegnamento.

1. La rivoluzione digitale

Negli ultimi trent’anni il mondo è cambiato molto, la nostra quotidianità è stata, ad una velocità impressionante, travolta e trasformata dalle continue innovazioni tecnologiche. Smartphone, notebook, Internet, social media e intelligenza artificiale hanno mutato profondamente la società e le nostre abitudini, tanto che ci troviamo oggi ad essere testimoni, e protagonisti, di un «cambio d’epoca»[2] senza precedenti: la rivoluzione digitale.
Una rivoluzione tecnologica che, per portata e rapidità, non ha eguali. In neanche mezzo secolo praticamente tutti i settori e gli ambiti della nostra vita, dall’economia alle relazioni sociali, hanno subito trasformazioni. Come sintetizzato molto bene dall’ultima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi: la cultura digitale «rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui concepiamo la realtà e ci relazioniamo con noi stessi, tra di noi, con l’ambiente che ci circonda e anche con Dio. L’ambiente digitale modifica i nostri processi di apprendimento, la percezione del tempo, dello spazio, del corpo, delle relazioni interpersonali e il nostro intero modo di pensare»[3].
Dobbiamo quindi constatare, per quanto questo possa spaventare, che siamo di fronte ad un mutamento molto più profondo del semplice “utilizzo di nuovi dispositivi”. Ad essere cambiate non sono solo alcune nostre abitudini, il modo in cui facciamo acquisti (e-commerce) o come lavoriamo (smart-working), ma sono mutati anche i processi di apprendimento, in particolare quelli delle nuove generazioni. Infatti, l’utilizzo della tecnologia, con le sue logiche (multitasking, rapidità, superficialità, movimento…), incide sul modo con cui i giovani si approcciano al mondo, si relazionano, apprendono e trovano il sapere. La tecnologia è talmente diffusa e presente che chi vi nasce immerso ne è profondamente influenzato, tanto da poter parlare ora di una generazione post-rivoluzione tecnologica, la generazione dei nativi digitali[4]: bambini e ragazzi che «parlano un’altra lingua», figli di una nuova era, con caratteristiche e peculiarità uniche.
Essendo gli studenti di oggi diversi da quelli di un tempo, con inediti stili di apprendimento, sorge allora spontanea la domanda: e la scuola? Come ha risposto a questi mutamenti l’istituzione scolastica?

2. La scuola e le nuove tecnologie – dalle resistenze al lockdown

Il rapporto tra la scuola italiana e la tecnologia è stato per molti anni conflittuale. Il mondo digitale ha trovato non poche resistenze all’interno della didattica. I motivi sono diversi: carenza di dispositivi e infrastrutture di rete all’avanguardia; strutture scolastiche pensate e costruite per un insegnamento esclusivamente frontale; una scarsa formazione del comparto docente e una forse eccessiva prudenza nei confronti delle nuove tecnologie (a volte sfociata in vera e propria fobia). Fino a qualche anno fa, per le ragioni appena elencate, si è quindi rimasti, a parte qualche raro caso, fedeli ad una didattica quasi completamente analogica. Ora però la situazione è cambiata. Il punto di svolta è avvenuto, come spesso accade, con una crisi: l’epidemia da COVID-19.
La pandemia, con il conseguente isolamento e distanziamento sociale, ha contribuito a velocizzare il processo di digitalizzazione, obbligando chi ancora non lo aveva fatto a “sbarcare nel mondo virtuale”. Durante questo periodo anche i più scettici hanno potuto constatare l’utilità e le potenzialità delle risorse digitali, gli strumenti che ci hanno consentito di rimanere in contatto, connessi con gli altri, nonostante la distanza. In particolare, è stata proprio la scuola ad aver sperimentato ‘in prima persona’ le potenzialità di queste risorse digitali.
Tutto ha avuto inizio il 9 marzo 2020, quando l’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha annunciato in conferenza stampa[5] che l’Italia intera, a causa dell’aumento dei contagi da COVID-19, sarebbe diventata “zona rossa”, vietando assembramenti e spostamenti. Iniziava così il «lockdown», termine da allora diventato terribilmente familiare. Tra i vari provvedimenti, presenti nel Dpcm del 9 marzo, si disponeva la chiusura di tutte le scuole, con la sospensione delle attività didattiche di ogni ordine e grado. Ci si è così trovati a dover iniziare una didattica per cui nessun insegnante era stato preparato. Nello specifico: una Didattica a Distanza (DAD), sigla che ancora oggi risveglia incubi a molti docenti, studenti e genitori.
Nonostante le mille difficoltà, i problemi e i limiti di questa provvisoria soluzione emergenziale, è grazie al supporto delle nuove tecnologie se l’istruzione è potuta andare avanti. Chi in quei mesi ha vissuto la scuola in prima persona (docenti, studenti e genitori), lo sa bene: in un contesto critico come quello pandemico, in cui generalmente anche l’istruzione si ferma, le risorse digitali (Internet, i dispositivi e le varie piattaforme web), unite all’impegno di insegnanti innamorati e appassionati, hanno invece permesso di continuare a “fare scuola”. Nonostante i banchi vuoti, il cuore della scuola ha continuato a battere.
Sono state innumerevoli le iniziative che i docenti hanno messo in atto per fare fronte all’emergenza. Ad esempio, diversi insegnanti hanno iniziato ad utilizzare un canale comunicativo che è risultato molto efficace: i video[6]. Brevi filmati autoprodotti, arricchiti da didascalie e immagini, che in pochi minuti riescono a condensare i concetti chiave delle varie lezioni. Questi video, facilmente condivisibili con i propri studenti attraverso le diverse piattaforme di streaming, hanno permesso a molti docenti di continuare ad avere un volto e una voce: gli studenti hanno potuto in questo modo “vedere e sentire il loro insegnante”. Una prerogativa in un contesto didattico normale, ma per niente scontata in quella situazione emergenziale, in cui la prima cosa a venire meno è stato proprio il contatto visivo tra docente ed alunni. Ed è forse questa la ferita più grande, a livello pedagogico-relazionale, di cui ancora oggi vediamo le conseguenze: quei mesi di isolamento hanno inevitabilmente creato una barriera tra gli alunni e i loro insegnanti. Le quattro pareti di casa sono diventate a tutti gli effetti le mura di cinta, una protezione, non solo dal covid ma, di riflesso, anche dagli altri.
Durante il lockdown, nella reclusione di quelle mura di casa, i video, come tante altre iniziative e strumenti didattici, sono stati in grado di aprire delle brecce, delle feritoie da cui far entrare un po’ di luce. Gli schermi si sono trasformati in finestre da cui potersi affacciare per ricordare che il mondo era più di quello rinchiuso nelle quattro pareti domestiche. I video, le videochiamate, le chat o i semplici messaggi audio, hanno permesso a tanti docenti di esserci, di risintonizzarsi con i propri studenti, anche se solo virtualmente. Hanno consentito di ricreare quella base sicura in cui poter accogliere e comprendere le paure e i dubbi che abitavano i loro cuori.
Ma non solo, perché queste nuove risorse didattiche sono risultate ottimi supporti per l’apprendimento anche in presenza. I video, ad esempio, vengono ancora oggi utilizzati per introdurre un argomento, per riassumerlo o per lo studio individuale.
E allora perché la parola «DAD» incute così tanto timore? Perché appena tornati alla normalità l’abbiamo, il più rapidamente possibile, mandata in pensione? Significa che non c’è spazio per la tecnologia nella scuola?

3. Dalla “didattica a distanza” alla “didattica digitale”

Assolutamente no. Ma a tal proposito è doveroso fare subito una precisazione: quando si parla di «didattica a distanza» e di «didattica digitale» ci si riferisce a due cose distinte.
La DAD è l’azione didattica che si svolge esclusivamente a distanza, nata come risposta temporanea all’impossibilità di svolgere lezioni in presenza. Il suo obiettivo principale è quello di garantire il diritto all’istruzione in situazioni eccezionali, come la chiusura della scuola per un’emergenza sanitaria. È quindi, ribadiamo, una soluzione temporanea.
Quando si parla di didattica digitale, invece, ci si riferisce a tutte quelle metodologie e strategie didattiche che implementano le nuove tecnologie, sia in presenza che a distanza. Si tratta di un approccio ampio e dinamico che abbraccia una vasta gamma di strumenti: dall’utilizzo di piattaforme e risorse online all’integrazione di contenuti multimediali nelle lezioni.
La DAD fa quindi parte del vasto mondo della didattica digitale, ma non la esaurisce. Ridurre la didattica digitale alla didattica a distanza sarebbe un grosso errore. La pandemia ci ha lasciato infatti la consapevolezza di avere tra le mani strumenti in grado di offrire molto più di una provvisoria e precaria didattica a distanza.
La scuola di oggi si deve confrontare con studenti che parlano «un’altra lingua» e queste risorse digitali ci possono aiutare a trovare le giuste parole: non si tratta di tradire il contenuto della materia che insegniamo, quanto piuttosto di tradurre nella lingua dei nativi digitali quella conoscenza che per noi è stata stella polare e alla quale abbiamo deciso di dedicare la vita. Le nuove tecnologie ci consentono di renderla comprensibile, viva e vitale anche per loro, come lo è per noi. Ma come fare? Ecco tre semplici “indicazioni di viaggio”, tre consigli per un utilizzo consapevole e «vivificante» di queste risorse digitali all’interno della didattica, in particolare quella IRC.

3.1 La meta

Prima di partire per un lungo viaggio bisogna avere ben chiara la meta, lo scopo, il motivo che spinge a mettersi in cammino. Ogni volta che, come insegnanti e educatori, progettiamo, agiamo e valutiamo, dobbiamo sempre ricordare qual è il nostro scopo: il bene di chi ci è stato affidato. Il bene dei nostri alunni deve essere la bussola che guida ogni nostra scelta, anche in materia di didattica digitale.

3.2 La preparazione

Prima di levare l’ancora e salpare è necessario prepararsi: imparare a leggere le mappe, conoscere le correnti, saper governare la nave e approvvigionarsi. Allo stesso modo per riuscire nella grande impresa, educare attraverso l’istruzione e la didattica digitale, è necessario avere tutto l’occorrente per il lungo viaggio e sviluppare quelle capacità che permettano di orientarci, di prendere giuste decisioni e di affrontare le “tempeste” – che certo non mancheranno – senza “naufragare”.
Molte scuole, grazie ai numerosi investimenti fatti durante la pandemia e agli ingenti fondi europei[7], hanno potuto ampliare il proprio ecosistema digitale (PC, infrastrutture di rete, tablet ecc.), offrendo agli studenti dispositivi e locali scolastici che consentono di apprendere e sviluppare quelle competenze digitali fondamentali per poter abitare il mondo odierno. Ma non basta «usare le tecnologie a scuola» per riuscire a «insegnare con le tecnologie». Dispositivi e piattaforme sono strumenti, dipende tutto da come decidiamo di utilizzarli. Se questi non vengono inseriti in un orizzonte metodologico chiaro e delineato rimangono strumenti fini a sé stessi. Il rischio è quello di trovarci con scuole dotate di dispositivi di ultima generazione ma nessuno in grado di utilizzarli; oppure di iniziare ad usare queste risorse senza un progetto, senza un obiettivo specifico, pensando basti fare entrare un computer in un’aula per rendere la didattica più digitale e coinvolgente. Niente di più errato.
Per rispondere ai nuovi stili di apprendimento dei nativi digitali «la didattica e la pedagogia contemporanea hanno sviluppato nuovi approcci che promuovono, tra l’altro, strategie di apprendimento più attive, costruttive e personalizzate»[8]. Nuove modalità e nuove strategie che possono essere integrate in modelli di apprendimento già esistenti, potenziandoli e arricchendoli grazie all’utilizzo delle nuove risorse tecnologiche. In particolare, in ottica di IRC, tra le strategie didattiche che implementano l’utilizzo delle nuove risorse tecnologiche possiamo certo elencare le seguenti: Classe capovolta, Apprendimento collaborativo, WebQuest, Gamification, Circle time, peer education, e Digital storytelling.
Per riuscire ad implementare in modo efficace tutte queste strategie didattiche è indispensabile una formazione continua dei docenti. Una formazione tecnica che consenta di conoscere gli strumenti che si vanno ad utilizzare, così da sfruttarne tutte le potenzialità e, al contempo, prevenire e gestire le eventuali criticità. Ma non è solo questione di tecnica, serve anche una solida formazione relazionale per un insegnamento incarnato[9]: un percorso formativo che aiuti a sviluppare competenze interpersonali per poter stabilire relazioni significative, positive e autentiche, con gli studenti, i colleghi e gli altri membri della comunità educativa. Questa duplice formazione è indispensabile per essere insegnanti in grado non solo di saper utilizzare le risorse digitali, ma di integrarle efficacemente dando vita ad una didattica digitale incarnata e vivificante.

 3.3 Il coraggio

Lasciare il porto delle proprie sicurezze, fatto di certezze e abitudini, per prendere il largo in un mare troppo vasto per essere domato, come quello dell’oltremondo,[10] spaventa e incute timore anche nei più audaci. La paura ci è compagna, ci protegge, non averne vorrebbe dire essere incoscienti. La barca però non è fatta per restare attraccata in porto, per questo per partire è sempre indispensabile una buona dose di coraggio, che non è incoscienza, ma fiducia nelle proprie capacità (preparazione) e sguardo fisso sullo scopo (meta).
Dispositivi, software e piattaforme offrono molteplici vantaggi ma, essendo strumenti, prevedono anche alcuni rischi e pericoli da conoscere e saper riconoscere per poterli evitare, prevenire e gestire. Se tra i vantaggi possiamo annoverare l’accessibilità, la personalizzazione, la collaborazione, il potenziamento delle competenze digitali e il coinvolgimento degli studenti; tra i rischi di questo tipo di didattica possiamo invece citare il divario digitale, i problemi di sicurezza e privacy, il sovraccarico di informazioni, la dipendenza dalla tecnologia e la qualità dell’insegnamento.
È inutile negarlo, utilizzare la tecnologia a scuola comporta dei rischi. Abbiamo però il dovere di osare, di “sporcarci le mani”, vigili e cauti, ma pieni di speranza e fiducia. Durante la pandemia, grazie a questa intraprendenza, siamo riusciti ad essere presenti nonostante il distacco, vicini malgrado la lontananza, abbiamo trasformato una sfida in un’occasione. Gli studenti hanno così potuto imparare la lezione più importante: una ferita può diventare feritoia, ogni avvenimento, anche quello più drammatico, nasconde in sé una bellezza collaterale da cercare e custodire.
Le nuove tecnologie hanno tracciato un’infinità di nuove strade, nuove vie per l’apprendimento, molte delle quali ancora inesplorate. Forse, proprio una di queste rotte, che nessuno ha ancora imboccato, è quella che conduce al cuore e alla mente dei nostri studenti, quei bambini e ragazzi che ci sembrano così distanti, irraggiungibili, ma che hanno solo bisogno di essere trovati.
La mappa l’abbiamo, gli strumenti pure, non ci resta che prepararci e salpare.


[1] Docente IRC nelle Scuole Secondarie di Primo grado I.C. Castello di Serravalle – Savigno e IC di Marzabotto (BO).

[2] Cf. Francesco, Discorso in occasione dell’incontro con i rappresentanti del V convegno nazionale della Chiesa italiana, 10 novembre 2015, in: https://www.vatican.va/content/francesco/
it/speeches/2015/november/documents/papa-francesco_20151110_firenze-convegno-chiesa-italiana.
html (30-11-2023).

[3] Relazione di Sintesi della prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 28 ottobre 2023, n. 17, in https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/28/0751/01653.html (10-11-2023).

[4] Cfr. M. Prensky, (2001). Digital Natives, Digital Immigrants, On the Horizon, 9(5),1-6, in: https://www.marcprensky.com/writing/Prensky%20-%20Digital%20Natives,%20Digital%

[5] Cfr.  Dichiarazioni alla stampa del Presidente Conte, 9 marzo 2020, in: 
https://www.youtube.com/watch?v=1PWfsNs0bDw&ab_channel=PalazzoChigi (11-11-2023).

[6] Alcuni esempi di canali YouTube per la didattica IRC nati durante la pandemia: Religione 2.0; Lorenzo Galliani – Religione Online; Maestra Clio; Martina Sanna.

[7] I finanziamenti del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR).

[8] P. Ferri – S. Moriggi, A scuola con le tecnologie. Manuale di didattica digitalmente aumentata, Mondadori Università, Città di Castello 2018, 115.

[9] Cfr. L. Capantini – D. Giovannini – S. Grassi – L. Ricci, «Un insegnamento incarnato. Il contributo delle neuroscienze, tra intersoggettività e forme vitali», in Neopsiche, Rivista di Analisi Transazionale e Scienze Umane, Torino, 2012.

[10] Cfr. A. Baricco, The game, Einaudi, Torino 2018, 84.