Martina Sanna[1]
Abstract
La tavola è il luogo in cui ciascuno si siede almeno una volta al giorno, è il luogo in cui sin dall’antichità ci si ritrovava per parlare, scambiarsi opinioni, prendere decisioni importanti. È il luogo per eccellenza della convivialità ma oggi giorno questo aspetto si sta andando a perdere perché il tempo passato a tavola viene vissuto come un tempo “perso”. Dopo un’analisi attenta dell’importanza dello stare a tavola si sottolinea anche quanto sia fondamentale essere capaci di condividere la nostra tavola con tutti. Attraverso l’insegnamento della religione si propone un percorso verso la conoscenza delle regole alimentari dei tre monoteismi e di come rendere la tavola un momento di amicizia e condivisione fraterna.
Introduzione
Il mondo contemporaneo è un mondo veloce, attivo e pieno di solitudine. I momenti di condivisione con il prossimo sono pochi e quando vi sono rischiano di essere vissuti con superficialità. I pasti sono diventati ormai quasi un optional, una piccola parentesi all’interno delle diverse attività che riempiono la giornata di ognuno. Si mangia in piedi, camminando, seduti su di una panchina e spesso da soli e, anche quando si è seduti con qualcun altro, se non appartiene alla nostra cerchia ristretta di conoscenze, non scambiamo una parola, rimaniamo rinchiusi nel nostro metro quadrato di riservatezza e di diffidenza. Abbiamo perso non solo la dimensione simbolica del cibo ma anche l’importanza religiosa che comporta lo stare a tavola insieme, il condividere lo stesso pasto.
1. Un tempo da ritrovare
«Il cibo è una forma di comunicazione, di certo meno ricca di quella verbale, ma forse più complessa da comprendere in tutte le sfumature»[2].
In questo articolo si vuole porre l’attenzione, attraverso alcune riflessioni da riportare in seguito in classe, su quanto sia importante stare insieme a tavola, condividere un pasto e quanto questo semplice gesto possa essere espressione di amore e di gentilezza verso il prossimo.
Dividere per moltiplicare è stato uno degli slogan, dell’ormai lontana, Expo di Milano 2015. «Dividere non nel senso di separare ma di condividere, crea l’occasione per moltiplicare le risorse a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti»[3]. Si può declinare questo slogan datato, ma significativo per il tema che si sta affrontando, nell’esperienza del credente che deve essere capace di dividersi, di spendere i propri talenti per fortificare sé stesso ma soprattutto per aiutare chi gli sta accanto, chi cammina con lui. Lo stare a tavola, all’interno dei tre monoteismi principali, ha dei richiami importantissimi e mette in gioco la persona che deve sapersi spendere per il prossimo, donargli del tempo e accettare incondizionatamente chi si trova davanti.
Enzo Bianchi nel suo libro Spezzare il Pane fa un elenco di nove comandamenti per lui importantissimi e fondamentali per poter stare insieme a tavola e gustare il cibo.
- Essere consapevoli di ciò che si mangia.
- Stupirsi e meravigliarsi sempre.
- Avere rispetto per il cibo.
- Benedire e rendere grazie.
- Abitare la tavola.
- Gustare tutti i sensi.
- Mangiare con lentezza.
- Condividere il cibo.
- Rallegrarsi, gioire insieme.[4]
Questi nove comandamenti possono essere analizzati in classe per costruire un’idea di quanto sia importante per le persone imparare l’arte dello stare tavola, per confrontarsi, dialogare e per aiutare i più piccoli a comprendere e rendersi conto di quanti doni sono racchiusi nel condividere il pasto.
Mangiare insieme, guardandosi negli occhi, sorridendo, chiacchierando è alla base delle nostre relazioni interpersonali e della nostra relazione con Dio. Quando ci mettiamo intorno a un tavolo con la nostra famiglia o con la nostra comunità tutti i giorni rimarchiamo la scelta che abbiamo fatto verso quelle persone.
Il cibo e la tavola rappresentano all’interno dei tre grandi monoteismi una dimensione orizzontale tra gli uomini che condividono lo stesso pasto e una dimensione verticale che connette l’uomo a Dio. Il cibo viene utilizzato da Dio per veicolare la costruzione della comunità di fedeli e, contemporaneamente, rende l’uomo consapevole dei propri limiti terreni e del suo essere creatura. Proprio per questo motivo in tutti e tre i monoteismi è presente una ritualità precisa e delle norme caratterizzanti il momento del pasto e il rapporto del fedele con il cibo, che diventa in alcuni piena espressione di una precisa identità sociale come avviene ad esempio nei casi dei precetti che caratterizzano la tradizione ebraica e quella musulmana.
2. Il cibo nel suo significato religioso
Questa relazione con il momento del pasto presente in tutti e tre i monoteismi principali fa riflettere su quanto sedersi intorno alla tavola possa rappresentare un momento di condivisione, di dialogo tra gli uomini, un momento in cui i diversi fedeli entrano in comunione tra loro e con Dio. Il cibo, infatti, all’interno del mondo religioso riveste un carattere fondamentale in quanto spesso vengono utilizzate delle metafore per indicare il nutrimento dell’anima o il cibo spirituale e, proprio perché mangiare è un gesto consuetudinario e vissuto da tutti, diviene facilmente parte integrante del linguaggio antropologico-spirituale.
Relazionarsi con gli uomini attraverso il cibo fa emergere immediatamente quanto sia importante la presenza dell’altro: sin dalla nascita sperimentiamo quanto il prossimo è per noi datore di cibo per poi arrivare ad essere capaci di condividere il nostro pasto con la nostra comunità di appartenenza o anche imparare a rinunciare al cibo in favore di chi è più debole.
Dio dona all’uomo un creato di cui prendersi cura e suo compito è saper usare con moderazione ciò che gli è stato regalato e imparare a condividerlo con chi gli sta accanto.
Dio costruisce intorno al banchetto e alla capacità di condividere il suo rapporto con l’uomo e questo momento è presente e fondamentale sia nell’Ebraismo, che nell’Islam che nel Cristianesimo. Quando si condivide il banchetto in nome di Dio i fedeli ritrovano l’unità e vivono un’importante dimensione spirituale e sacrificale. Nei tre grandi monoteismi è sempre presente all’inizio del pasto un momento dedicato al ringraziamento del cibo donato in modo da tener presente, nella mente del fedele, che ciò di cui ci si nutre viene direttamente da Dio; è grazie a Lui se ci si può sedere con serenità intorno alla tavola e consumare un pasto insieme. Peculiare è il caso di alcune festività ebraiche in cui viene lasciato a tavola un posto vuoto proprio per sottolineare la presenza di Dio a tavola con i suoi fedeli.
Proprio a motivo della provenienza divina del cibo e della caratterizzazione della tavola come momento di condivisione, il momento del pasto diventa un momento di preghiera e di benedizione per il fedele che impara a vivere questo rito con i compagni di comunità. Non esiste quindi fondamento religioso che non si sia confrontato, al suo interno, con il cibo, la tavola e i suoi invitati soprattutto per l’importanza fondamentale che riveste la presenza di Dio nella tavola; l’Ebraismo, l’Islam e il Cristianesimo vivono il rapporto tra cibo e fede per certi versi in maniera similare e per altri in maniera molto diversa. In tutti e tre questi monoteismi i grandi eventi che interessano la comunità dei fedeli si svolgono intorno ad una tavola e sia la presenza della comunità di appartenenza che della famiglia hanno un ruolo basilare, si possono menzionare ad esempio la Pesach ebraica, la festa di rottura del Ramadan musulmano e l’Eucarestia cristiana. Sono solo alcuni dei momenti che caratterizzano le comunità di fedeli e creano i fondamenti della fede, creano condivisione e senso di appartenenza e vengono vissuti intorno alla tavola con condivisione di cibo. Scrive il vescovo Claudio Giuliodori:
«Il bello dello stare a tavola con Dio è che non ci si alza mai sazi, anzi, più ci si nutre del cibo delizioso della sua mensa più se ne desidera e più si diventa consapevoli del dono di grazia ricevuto più ci si sente chiamati a condividerlo e a farne parte soprattutto a chi non ne ha o ne è ingiustamente escluso». [5]
Il cibo infatti rafforza l’appartenenza dei fedeli a una precisa comunità e diventa il mezzo per condividere e celebrare eventi fondamentali della vita che aiutano a sostenersi e unirsi, è sempre il cibo che all’interno di una singola comunità crea inclusione ed esclusione, parole importanti all’interno della sfera religiosa in quanto caratterizzanti dell’esperienza della singola comunità che si forma. Anche all’interno della piccola comunità familiare il cibo crea momenti di caratterizzazione dei ruoli e di inclusione ed esclusione: spesso sono gli uomini che si occupano della preparazione della carne e questo momento consente la creazione anche di rapporti profondi, ad esempio, tra padre e figlio, allo stesso modo i momenti dedicati alla preparazione dei pasti e quindi alla trasmissione delle ricette tipiche sono condivisi tra madri e figlie o comunque tra donne e anche queste occasioni sono simbolo di un rapporto e di determinati legami.
3 Una proposta didattica
Dopo aver illustrato alcuni punti fondamentali di una tavola condivisa si propone un’unità di apprendimento per i bambini di una classe quinta della Scuola Primaria ma facilmente declinabile anche per altri gradi di istruzione.
Il progetto, intitolato “Quattro chiacchiere a tavola”, si pone come obiettivo far comprendere ai bambini come intorno a un pasto condiviso si è stimolati e ben disposti ad aprirsi al dialogo proprio perché si crea una comunità in cui ognuno è alla pari dell’altro e nella quale si condivide qualcosa, il cibo, che è essenziale per la vita di tutti. Ciò che si vuole mettere al centro di questo progetto è appunto la conoscenza delle consuetudini alimentari dell’Ebraismo e dell’Islam, che insieme al Cristianesimo costituiscono la triade di monoteismi presenti nella città di Bologna, e come conoscendo l’altro in maniera approfondita si possa arrivare ad un rispetto reciproco e anche alla possibilità di costruire un menù che soddisfi e accolga tutte e tre le comunità. Infatti, è importante spiegare ai bambini come le nostre relazioni più importanti si fortifichino e si intreccino intorno a una tavola imbandita. S
Si parte dalla famiglia in cui nasciamo e con cui condividiamo il pranzo tutti i giorni fino ad arrivare agli amici che scegliamo e con cui festeggiamo momenti importanti passando, ovviamente, attraverso la nostra comunità ecclesiale d’appartenenza con cui condividiamo l’eucarestia, il nostro pasto più importante. Proprio partendo da questo concetto basilare che sicuramente tutti i bambini hanno vissuto almeno una volta nella vita si potrà sottolineare come sia possibile intessere un dialogo interreligioso proficuo sedendosi attorno a una tavola pronta ad accogliere un pasto preparato con amore e rispetto gratuiti. A tavola, infatti, si parla e si ascolta e si è più propensi a capire l’altro in quanto il corpo e la mente vivono un momento di accoglienza.
Nella società odierna spesso si tende a mangiare in solitudine, quindi, sarà importante anche sottolineare con i bambini quanto sia differente mangiare da soli o in compagnia proponendo agli alunni di riflettere sulla parola “compagno” utilizzata da loro tutti i giorni per indicare gli altri componenti della stessa classe in modo da evidenziare che quel semplice vocabolo indica una persona con la quale si condivide il pane cioè un alimento essenziale, un simbolo di vita e di unione. Con i compagni di classe sicuramente si condivide un periodo importante della vita, un periodo che può durare cinque anni e che può porre le basi per amicizie durature che segnano la vita. Ma all’interno di una classe, oggi, sono spesso presenti differenti appartenenze religiose e questo progetto si pone come obiettivo far capire agli studenti che la tavola e il cibo presentano degli aspetti che ci accomunano in maniera basilare:
- Il fatto che il cibo sia un dono di Dio;
- Il fatto che l’astinenza e il digiuno abbiano senso all’interno del cammino di fede;
- Il ruolo basilare della festa all’interno di ogni religione e come questi momenti speciali abbraccino tutta la comunità.[6]
Attraverso queste riflessioni sulle singole religioni e il loro rapporto con il cibo si cerca di far comprendere agli alunni come il dialogo interreligioso sia affidato a ciascuno di loro nella propria vita quotidiana, nel rapporto semplice e giornaliero con i loro compagni, con le persone con cui condividono i gesti della quotidianità.
Le lezioni da dedicare a questo progetto sarebbero cinque o sei a seconda delle modalità con cui si decide di affrontare gli argomenti in classe e, ovviamente, a come la classe risponde agli stimoli che l’insegnante o gli esperti propongono.
Nella ipotesi che si propone si potrebbero dedicare le prime tre lezioni ad analizzare il rapporto di ognuna delle tre religioni monoteiste con il cibo attraverso la visione di video e tramite la spiegazione dell’insegnante. Se presenti in classe bambini di religione ebraica o islamica si potrebbe chiedere il loro intervento. Si consiglia, inoltre, la lettura in classe dei libri L’Ebraismo raccontato ai bambini e L’Islam raccontato ai bambini editi dalle Edizioni Dehoniane Bologna che attraverso il racconto di un gruppo di amici spiega anche le regole alimentari delle diverse religioni.
Nella quarta lezione si propone un gioco: si preparano 3 cartelloni in cui saranno raffigurate tre tavole apparecchiate che rappresentano i tre monoteismi, l’insegnante avrà preparato delle immagini di cibi e bevande e gli alunni dovranno scegliere cosa mettere in ciascuna tavola. Quando tutti gli alimenti saranno posizionati l’insegnante analizzerà le tavole per controllare se ci sono alimenti non adatti.
Alla fine si farà una riflessione sulla situazione creatasi: ognuno ha la sua tavola ma sono comunque tre tavole diverse e, invece, a noi piacerebbe creare una tavola condivisa in cui possano sedere tutti. Come si può fare?
Nella quinta lezione l’insegnante invita i bambini a creare un menù che abbia al suo interno degli alimenti che possano andar bene per tutti e tre i monoteismi, quindi rispettosi sia delle caratteristiche alimentari che della preparazione. Si potrebbero dividere gli alunni in diversi gruppi o farli lavorare tutti assieme ovviamente la scelta di una modalità o dell’altra dipende dal numero degli avvalentesi, importante è far emergere la creatività dei ragazzi nel creare un menù dalla grafica accattivante, ma soprattutto fare in modo che lavorino completamente da soli per verificare se hanno compreso a pieno le norme alimentari dei singoli monoteismi e sono capaci di fare le scelte giuste nella proposta dei piatti.
Al termine della lezione si potranno leggere i menù e fare delle osservazioni su quale sia il menù che incontra maggiormente i gusti di ciascuno studente.
[1] Docente IRC nella Scuola Primaria dell’Istituto Comprensivo “E. Quaquarelli” I.C. 1 (San Giovanni in Persiceto, Bologna); Vicaria dell’IC.
[4] Cfr. E. Bianchi, Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere, Einaudi, Torino, 2015, 44-45.
[6] Cfr. B. Salvarani, «Conoscersi a tavola. Parlare di Dio attraverso il cibo» in B. Goldstein, L. Mazzinghi, F. Manini, B. Salvarani, Mangiare e bere, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia, 2015, 107.